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Diego Simeone e il Cholismo

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L’argentino come Che Guevara: l’Atletico Madrid è rivoluzionario?

Diego Simeone come Che Guevara. La prima pagina della Gazzetta di oggi è indubbiamente suggestiva, anche se dopo la nota battuta di Checco Zalone sulla figura del rivoluzionario ridotta a elemento qualsiasi del merchandising diventa difficile avvicinarsi a certi accostamenti senza un sorriso. Ma il merito dell’esaltazione del cosiddetto cholismo è comunque alto: per mutuare un’altra espressione di certa sinistra, il tecnico dell’Atletico Madrid ha dimostrato che un “altro mondo è possibile” e non per forza si deve vivere sotto il pensiero dominante e unico del tiqui taca. Poi, c’è da discutere (e anche tanto) se i colchoneros rappresentano un fattore di novità per come interpretano aggressivamente la partita, tanto da piacere anche ad Arrigo Sacchi, o se sono nient’altro che una versione aggiornata del calcio all’italiana, con un’applicazione intelligente e feroce della fase difensiva coniugata a ripartenze spesso corali. Personalmente penso che non andrebbe dimenticato la natura – guerriera più che guerrigliera – dell’anima sudamericana della squadra, da chi la dirige in panchina a chi ne fa le veci al centro della difesa come Godin. E, di conseguenza, per come la squadra punta ad incrementare oltre ogni misura il tasso agonistico, coniugandolo però anche a fasi di lettura meno accesa della gara, dove l’Atletico sa creare impotenza negli avversari, verrebbe da ricollegarsi a esempi argentini lontani nel tempo. Quelli dell’Estudiantes o dell’Independiente negli anni ’60, club protagonisti di finali di Coppa Intercontinentale che descrivere come focose è fare un torto alla realtà. Incontri che – nella mia memoria di bambino – rappresentavano qualcosa di più di semplici partite di calcio. Si diceva allora che chi andava in campo rischiasse la vita e – a sentire ancora oggi le testimonianze di chi c’era – non sembra essere un’esagerazione letteraria. Simeone non arriva a tanto, sia ben chiaro. Ma l’idea che la maglia biancorossa sia una seconda pelle e che il modo di vivere l’appartenenza al club sia una scelta di vita sono elementi incendiari che funzionano al Vicente Calderon sopra ogni altra considerazione di tipo tattico. Non solo: se per vincere c’è da proporre anche qualche scorrettezza, il gioco vale la candela e tre giornate di squalifica per un pallone buttato in campo per fermare una ripartenza altrui sono concepiti come un titolo di vanto.

GRANDE DIFESA – E poi c’è la tecnica, che non va dimenticata. Nessuno può avere l’ardire di paragonare il parco giocatori dell’Atletico a quello dei cugini del Real o all’”inarrivabile” Barcellona. Tanto è vero che i numeri traducono perfettamente questa differenza di valori: merengues e blaugrana superano  la quota di 100 reti in Liga, Griezmann e compagni vanno oltre la cinquantina, rimanendo i migliori nel pianeta degli attacchi normali della Liga. In compenso, la difesa si colloca al vertice europeo (16 gol incassati in 35 giornate) ed anche in Champions League si è evidenziata una solidità pazzesca, persino il Bayern – che pure non ha eguali come pluralità di bocche da fuoco – di fatto ha costruito un solo pericolo in occasione della semifinale d’andata grazie a un tiro dalla lunga distanza ad opera di Alaba, finito sulla traversa. La Champions, già. Solo l’Atletico ha messo a segno una rete tra martedì e mercoledì e vi è riuscito grazie a un aspetto che va sottolineato se si vuole cogliere il cholismo nella sua interezza: l’esaltazione del coraggio individuale. L’insistenza sullo sprito di gruppo porta i singoli ad andare oltre i limiti e a a tentare soluzioni ai confini dell’impossibile. La rete di Saul Niguez che ha condannato Neuer alla resa dice intanto che certi profili tecnici non vanno sottovalutati (faccio un nome su tutti: Koke. Se non è un campione quello, allora bisogna intendersi sulla definizione). Ma soprattutto, in quell’exploit nato d’improvviso, c’è la capacità di sfruttare il momento in virtù di una grande autostima che porta a fabbricare gol di rilevante qualità.

IL VERO COMANDANTE – Un caso? Tutt’altro. Se si analizza il 2015-16 dell’Atletico Madrid sono stati ben 6 le reti fabbricate su iniziativa autonoma di un giocatore. E in alcuni casi si è trattato di un capolavoro (Griezmann sul campo del Real Sociedad), di una soluzione iterata (Ferreira-Carrasco contro il Celta Vigo e il Valencia), Teyè con il Levante e Correa in Copa del Rey nella sconfitta per 2-3 con il Celta Vigo. Nomi non di primissimo piano in ceerti casi, qualcuno anche non titolare. Ed è proprio in questo protagonismo delle seconde linee che forse c’è qualcosa di autenticamente rivoluzionario che qualifica Diego Simeone come un vero Comandante.