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Il Benevento se ne va

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puscas benevento playoff finale

Il Benevento di Baroni vince i playoff di Serie B ed è l’ultima squadra ad iscriversi alla Serie A 2017-18: l’analisi

Neanche il tempo di arrivare e già se ne va: il Benevento aveva atteso una vita la tanto agognata promozione in Serie B, tra playoff mancati all’ultimo respiro, sogni infranti e speranze che per tanti andavano progressivamente ad affievolirsi, per poi rimanerci appena qualche mese. Il tempo di prendere le misure, calibrare il tiro, centrare i playoff e dettare legge oltre ogni limite di esperienza e quant’altro si poteva sottrarre ad una realtà in tal senso neofita. Prima lo Spezia, poi è toccato a Perugia e Carpi. Gli uomini di Baroni hanno avuto più fame degli altri: vuoi per la coesione del gruppo, vuoi per il senso storico a cui si accennava, ma quest’elemento è risultato preponderante sulle eventuali carenze. Ma come ci si è arrivati a poter dimostrare questa fame? Chi ha costruito la torta? Sul piatto dell’analisi ci finiscono più parti, giusto procedere con ordine.

I meriti della società: il modus operandi del presidente Vigorito

Intendiamoci: il Benevento, alla prima comparsa in Serie B dopo una vita a sognarla, avrebbe tranquillamente potuto prendersi un anno di transizione. Lavorare con l’obiettivo specifico di vivere una stagione tranquilla, in un campionato il cui livello lo consente piuttosto agevolmente. Il segreto dei traguardi risiede però nella capacità di guardare oltre: il presidente Oreste Vigorito non si è accontentato delle festa di un anno fa, non si è lasciato impietosire dalla tentazione di confermare a mo’ di premio lo scorso organico e come vada vada, ma ha avuto passione e merito nel costruire una rosa in grado di competere con le realtà più strutturate della categoria. Operazioni definitive e temporanee che – con il sostegno del direttore sportivo Salvatore Di Somma – hanno garantito una buona ossatura al suo Benevento: le mani sicure di Cragno, prossimo a vivere l’esperienza dell’Europeo con la nazionale Under 21, l’innesto difensivo di Camporese che nel medio termine ha mostrato di quale pasta sia fatto, agevolato dal leader tecnico ed emotivo Lucioni, giovani di corsa sulle fasce quali Venuti e Gyamfi, il colpo Chibsah in mediana, specialista tuttofare della categoria, poi abbinato in corso d’opera all’ammirabile visione di gioco del play Nicolas Viola, l’uomo della differenza, senza dimenticare i vari Buzzegoli ed Eramo, portatori di esperienza e caratteristiche che ben si sono integrate con i già presenti. Operazioni lungimiranti anche in avanti: Falco si è acceso a sprazzi ma del resto la continuità non è mai stato il suo forte, Ceravolo – entriamo in capitolo Baroni – ha superato sé stesso ed i suoi limiti, Puscas è venuto fuori nel momento in cui doveva farlo. Come un vero e proprio crac.

Il valore aggiunto del Benevento: Marco Baroni

L’opinione di chi vi scrive è che non ci sarebbe stata promozione senza questo allenatore: ha variato tutto. Modulo, interpreti, predisposizione, idee, esecuzioni, letture della partita. Una cosa non è cambiata: il risultato. Quando l’impianto tattico appariva troppo offensivo guardando al numero di attaccanti simultaneamente impiegati, la squadra non rischiava nulla, viceversa – quando sembrava non poter ricercare soluzioni offensive – trovava comunque lo spunto per marcare tabellino e poi gestire la contesa. Il suo Benevento ha sempre mantenuto la barra dritta, al netto di una breve e non condizionante parentesi – in cui le immancabili quanto avventate malelingue ne avevano chiesto la testa – non ha mai sbandato, per poi giungere dove tutti sanno. Ad impressionare sono state lucidità e soprattutto reattività con cui ha gestito la straordinaria amministrazione: rotazioni quasi scientifiche quando c’era da tirare il fiato, infortunati sostituiti dalle alternative senza che il copione della squadra subisse alterazioni di ogni genere. Alla base la capacità di trasmettere all’intero gruppo il suo modo di pensare e di intendere il calcio in generale e questa stagione nel particolare. Il Benevento chirurgico dei playoff è figlio di quello della regular season, con lo stesso spirito e non a caso interpreti diversi: si parlava di Ciciretti-dipendenza ad esempio, salvo poi accorgersi che lo stesso nei playoff abbia disputato una manciata di minuti. Non è dedito alla ricerca del bel gioco, ma incentra tutto sull’organizzazione: lì dove la sua scrupolosità ha fatto la differenza.

Da dove passa il futuro

Alla fine Puscas, oggetto misterioso della stagione, killer dei playoff della Serie B 2016-17: tre gol in tre partite diverse, un’incidenza che neanche nelle aspettative più folli. Fortunatamente è arrivata l’ennesima conferma di una certezza: quando il valore c’è, prima o poi viene fuori. E questo ragazzo ha rappresentato la reale essenza del carpe diem: con la piena disponibilità dei suoi colleghi di reparto, alla luce dei rendimenti stagionali, in questi playoff avrebbe trovato spazio con il contagocce. Per fortuna del Benevento è andata diversamente. Oggi il presente si chiama Serie A, nessuno nella storia del calcio italiano l’aveva centrata al primo anno di B: un salto che non ha bisogno di essere dettagliato. Cresce esponenzialmente il tasso tecnico necessario per competere a determinati livelli, impensabile presentare squadre che si limitino alla combattività, alla fame seppur feroce. Occorrono piedi e menti buoni, interpreti che pensino calcio prima ancora di attuarlo. Il necessario rinforzo qualitativo dell’organico – se sommato alla permanenza dell’attuale allenatore Marco Baroni – può fungere da segreto per ritagliarsi uno spazio degno di nota nella Serie A che verrà. Nel calcio dei grandi. Del resto perché svegliare il meraviglioso sogno di un popolo che ha aspettato così tanto? In quel di Benevento si ritrova la passione vera di una piazza legata come poche altre alla sua squadra: da queste parti si è condiviso tutto, gli interminabili anni di delusioni, le recenti vicende extrasportive di cui in tanti avete avuto notizia. Il tutto ha fortificato questo legame. Al Benevento una cosa non mancherà mai, una determinante che spesso nella storia di questo inarrivabile sport ha contribuito a scrivere pagine indimenticabili: l’amore della sua gente. Con la A finalmente maiuscola.