Cagliari, Melchiorri: «L'incubo della malattia, la gioia dei gol all'Inter»
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Cagliari, Melchiorri: «L’incubo della malattia, la gioia dei gol all’Inter»

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Federico Melchiorri ha sicuramente una bella storia di calcio da raccontare: parte dai campi polverosi dell’Eccellenza e arriva in Serie A per fare una doppietta all’Inter

Il Cagliari esce nell’impresa, citata nel film di Aldo, Giovanni e Giacomo, di uscire dalla trasferta contro l’Inter con la vittoria per 2-1. Protagonista di questa giornata è Federico Melchiorri, un percorso difficile nel mondo del calcio: esordio in Serie A con la maglia del Siena, nel 2006. Il trasferimento nelle serie minori fino alla Lega Pro e poi la malattia che lo costringe a stare sette mesi lontano dal campo per un cavernoma venoso e un’operazione al cervello. Il ritorno sui campi dilettantistici, la trafila verso la Serie A e ora la “quasi” doppietta all’Inter.
Intervistato dal Corriere dello Sport, Federico Melchiorri non appare come un miracolato, non racconta la sua storia come se ci si trovasse in un film americano. È un ragazzo che, come dice lui, vola basso: «Non sai come sono felice, ma non voglio deludere nessuno. Mi conosco bene. Oggi, a 29 anni, Federico Melchiorri è quello che è, proprio perché ha fatto questo viaggio. Da ragazzo ero sicuro di me, mi sentivo talentuoso, ma ero anche, senza accorgermene, viziato. Mi sembrava tutto facile, tutto gratis. Senza la malattia mi sarei perso»

LA MALATTIA  – «Proprio sui famosi campi di polvere del campionato dilettanti, vedendo i miei compagni distrutti dopo una giornata di lavoro ma felici di giocare, è cambiata la cosa più importante: la mia testa» afferma Melchiorri ripensando al periodo dopo l’operazione: «Se non avessi avuto la malattia? Sarei un fallito, o fuori dal calcio. Di sicuro meno felice di oggi. Tutto quello che ho l’ho conquistato, con il sudore e col sangue. Non potrò perderlo mai più».
La scoperta della malattia grazie ad un contrasto aereo durante una partita: «Uno dei tanti contrasti di testa. Lì per lì non sento nulla. Uno stordimento che non passa. Decido di fare una tac. Non sono le diagnosi che ti spaventano, ma l’ignoto. All’inizio nessuno capisce. Accumulo visite, consulti, pareri. Poi un giorno la parola terribile: “cavernoma”. Parlano di tempi di lunghi, operazioni, recupero lento. Capisco che sono fuori. Ero in serie C, Il contratto era agli sgoccioli. Non avevo tutele. L’unica cosa certa: più di un anno ko. Ero su una giostra che improvvisamente si fermava. È una lampadina che ti si accende in testa: “carriera finita”».

IL RITORNO SUI CAMPI – Dopo l’operazione, vissuta con fatalità, il metabolizzare che ci saranno delle cure lunghe nel post operatorio, i campi attraggono di nuovo Melchiorri: «Torno ad allenarmi, con gli amici di sempre, In seconda categoria, al Montecassiano. Per rimettermi in forma, mi dico, prometto a me stesso: non giocherò mai. Non ho contratto né nulla: è un hobby». Poi il telefono suona nel 2011: Bruno Marinelli dall’altra parte della cornetta lo chiama al Tolentino in Eccellenza: «Torno con il gusto di giocare. In una squadra vera, ma con gente come Emanuele Fermani che faceva il muratore fino alle 19.00 e poi rideva mentre si infilava gli scarpini». Poi la Maceratese: «Sento intorno la mia città, gli amici, un mondo. Trovo un tecnico bravissimo, Guido Di Fabio che mi ricostruisce un ruolo. La cosa più bella è che mi fidanzo con Camilla: fa l’infermiera e diventa la mia bussola». Segue il Padova e il Pescara: «Vado al Padova segno sei gol che ricordo uno per uno. Poi la squadra fallisce e arrivo a Pescara, a parametro zero. Trovo un gemello: Maniero, e ci completiamo. Dove non arriva uno, colpisce l’altro». E infine il Cagliari: «Chiama Giulini, una telefonata indimenticabile: “Stiamo facendo una scommessa per tornare in A, vieni!”».  E di nuovo un infortunio: «Il 1 aprile del 2016, in allenamento mi salta il crociato». Dolori, dolorini e il corpo che non risponde. Poi il miracolo con la Samp, prima presenza, primo gol in A: «Ero convinto di non giocare: il ginocchio dava ancora fastidio, il muscolo non era ancora al 100%. È lo spirito del calcio. Entro in campo, il dolore scompare: adrenalina, emozione, calore. Non penso più nulla: non al pubblico, al ginocchio o alla fatica. Non sono veloce come penso, ma, un secondo dopo capisco che è una fortuna. Pensavo di arrivare prima io, e invece c’è Viviano. La traiettoria lo manda fuori tempo. Ci arrivo io. La porta mi sembra minuscola, so che in un secondo avrò tutti addosso e invece gol».

TITOLARE CON L’INTER – Due gol ai nerazzurri che rimarranno nella memoria, dopo che Rastelli lo sceglie tra gli undici titolari: «La prima è figlia di una giocata fenomenale di Di Gennaro. Poi è tutto istinto. Faccio il primo tocco e poi mi ritrovo dentro la rete. Il secondo? Tutto il contrario: astuzia omerica di Colombo, che mi ha dato una dritta mentre ci vestivamo. Mi fa: “Handanovic è un mostro, ma ha un tallone d’Achille. Se salti l’uomo sappi che anticipa il cross per svettare nell’uscita. Ero sulla destra, ho saltato l’uomo ho risentito sentito le parole di Roberto: c’era poco spazio, ma ho tirato in porta».