Gen. Coletta: «Alla Lazio formiamo uomini prima che calciatori, Cataldi è un esempio» - Calcio News 24
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2015

Gen. Coletta: «Alla Lazio formiamo uomini prima che calciatori, Cataldi è un esempio»

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Il generale Giulio Coletta, responsabile delle giovanili della Lazio, in esclusiva ai nostri microfoni

La Lazio è una delle poche squadre in Italia a fare del proprio settore giovanile il proprio fiore all’occhiello ed è anche una rarità nel panorama italiano perché i giovani cresciuto nel settore giovanile laziale maturano un grande senso di appartenenza alla squadra, visto che i molti italiani – altra rarità – in rosa sono tutti del territorio romano come vuole il Generale Giulio Coletta. Questi è una figura cardine della Lazio a livello di giovanili, anche se non si presta troppo ai riflettori e preferisce mantenere un basso profilo.

L’ETICA NEL CALCIO GIOVANILE – Attenzione perché non si deve confondere umiltà con qualità: Coletta è stata la base su cui Lotito ha fondato la nuova Lazio e grazie al Generale e al suo credo le giovanili biancocelesti viaggiano a gonfie vele. A margine dell’evento L’etica nel calcio giovanile, organizzato dal Rotary Club Santa Croce sull’Arno – Fucecchio nella splendida cornice di Villa Sonnino a San Miniato (PI), abbiamo intervistato in esclusiva proprio il Generale Giulio Coletta, responsabile del settore giovanile della Lazio.

Come siete organizzati nel settore giovanile laziale?
«Noi della Lazio formiamo la mentalità del giocatore ancor prima che la tecnica. Per il settore giovanile della Lazio io preferisco parlare di istruttori più che di allenatori».

Ci spieghi meglio.
«Quando i giocatori sono ragazzini uno deve sapere insegnare e non guardare il risultato, la tattica e il modulo. Bisogna sapere tirare il pallone, crossare e saper usare i piedi, calciare o marcare. Bisogna star lì e migliorare. Se non si sanno queste cose allora non si può diventare calciatori, la nostra prerogativa dunque è l’insegnamento».

Quindi si può dire che voi badate di più alla crescita del giocatore che all’ossessione del risultato?
«Ovvio, se lavoriamo bene allora possiamo ottenere risultati, altrimenti no. Se lavoriamo bene a lungo andare si vince sempre. Prima di tutto uno deve fare il proprio dovere, ma la palla è rotonda quindi può succedere tutto in campo. L’importante però è essere sereni e fare tutto quello che è possibile fare. Noi formiamo uomini prima che calciatori, se poi le cose vanno storte a livello di campo, pazienza».

Come siete strutturati nel territorio?
«Noi prendiamo giocatori sia dalla città di Roma che dal Lazio, non ha senso andarli a prendere fuori regione, ne abbiamo al massimo cinque in tutto il settore giovanile. Se si prende un giocatore da lontano quando ha 14 anni, si fa crescere e poi magari fallisce allora si illude un ragazzino che viene segnato per tutta la vita».

Lei è stato decisivo nella crescita di Cataldi, vero?
«Sì perché un anno l’ho mandato in prestito all’Olimpia perché l’avevo visto un po’ presuntuosetto ed è andato là assieme ad altri giocatori. Gli altri non sono tornati, lui invece si è impegnato e adesso gioca in Serie A e quando mi vede mi saluta e mi ringrazia perché sa che in fondo è merito anche del mio lavoro se è arrivato fin lì».

Perché alcuni giovani però si perdono?
«Tanti allenatori, se c’è un giocatore bravo, gli consentono di fare quel che vuole. Un ragazzo deve essere umile, non si vince con un giocatore ma con il gruppo, spesso si dà troppa importanza ai giocatori singoli e non dovrebbe essere così. Facciamo due esempi: Pelè che si infortuna prima del Mondiale ’62 ma il Brasile vince lo stesso e Maradona al Napoli che vince non da solo ma anche con un bel gruppo. Di giocatori buoni della Lazio che non hanno sfondato ce ne sono, come Mancini, Ceccarelli, Delgado ma la lista è lunga».

Gli allenatori delle giovanili della Lazio sono molto preparati e hanno una storia alle spalle interessante, ad esempio Bollini o Simone Inzaghi.
«Bollini ha una formazione differente, è venuto da fuori e poi è tornato e ha vinto due volte. Abbiamo tecnici interessanti in tutto il settore giovanile, se si vedono giocare le nostre squadre è davvero un piacere vederle giocare. Bisogna vedere come fanno girare la palla, come si muovono, come sono compatti: è da lì che dobbiamo partire, poi se insegniamo quelle cose ce le ritroviamo dopo. Se invece si pensa solo al risultato sfruttando solo quel ragazzo che in quel momento ti dà più degli altri è un grosso errore non solo per la società ma si rischia di rovinare anche il ragazzo».

C’è qualche giocatore del settore giovanile laziale già pronto per la Serie A?
«C’è Luca Crecco alla Ternana, non è stata un’annata facile per gli umbri ma è un giocatore valido. Diciamo che per la prima squadra abbiamo un gran portiere come Guido Guerrieri, si merita di giocare con i grandi e gli auguro davvero di diventare il numero uno in futuro della Lazio. Consiglio anche Simone Mattia come difensore centrale, ma anche l’attaccante Simone Palombi che ha fiuto del gol. La Serie A è un percorso un po’ diverso, possibile che facciano una piccola esperienza come ad esempio Cataldi in Serie B a Crotone».