Capello: «Ibra quando arrivò alla Juve non sapeva calciare» - Calcio News 24
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Capello: «Ibra quando arrivò alla Juve non sapeva calciare»

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Ibrahimovic united

Zlatan Ibrahimovic ha giocato nelle migliori squadre europee, facendo del suo tiro forte e preciso uno dei suoi punti di forza, eppure quando è arrivato alla Juventus non sapeva calciare, parole di Fabio Capello

Zlatan Ibrahimovic è uno dei migliori calciatori al mondo  attualmente in attività, ha giocato nelle più grandi squadre d’Europa: Ajax, Inter, Milan, Juventus, PSG, Barcellona, fino ad arrivare alla corte di Josè Mourinho, al Manchester United. Uno strapotere fisico e tecnico impressionante, 95 kg per 195 centimetri, un armadio, eppure, secondo quanto dichiarato da Capello, Ibra non sapeva calciare. L’allenatore friulano l’ha allenato nel biennio 2004/2006, quando era alla giuda della panchina bianconera. Con lui Ibra iniziò gradualmente la propria ascesa in carriera, diventando il campione che è oggi.

CAPELLO: «IBRA NON SAPEVA CALCIARE» – E’ stato proprio l’ex commissario tecnico dell’Inghilterra, Fabio Capello, ad ammetterlo in  occasione dell’anteprima al Cinema Adriano di Roma del docu-film “Ibrahimovic, diventare leggenda“, nella sale italiane il 14 e il 15 novembre prossimi. L’allenatore lo aveva visto in un’amichevole a Berlino, e già da come si allenava si capiva che era un predestinato. Arrivato sulla panchina della Juve lo ha subito acquistato, e dopo essere partito dalla panchina, la coppia d’attacco era Trezeguet-Del Piero, entrò pian piano in pianta stabile tra gli 11 titolari. «Appena arrivato alla Juventus Ibrahimovic non sapeva calciare, calciava molto male. Io lo impostai, in lui vidi l’orgoglio e la voglia di diventare il numero uno. Si mise ad allenare bene il tiro anche dopo gli allenamenti con la squadra e arrivò a calciare anche le punizioni», queste le dichiarazioni di Fabio Capello. Nella prima stagione giocò 35 partite realizzando 16 gol, l’anno successivo,nonostante le 35 presenze, arrivò solo a quota 7. Il talento non gli mancava, ma secondo Capello faceva troppi numeri. L’umiltà e la voglia di migliorare, abbinata a delle doti straordinarie, lo hanno portato ad essere il campione che è oggi.