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Europa League

In difesa di Gerson

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A Roma sono bastati 49 minuti – 4 contro il Porto e 45 a Plzen – per mettere in discussione il talento di Gerson

Ieri l’esordio dal primo minuto in maglia giallorossa di Gerson Santos da Silva, meglio noto come Gerson, dopo le tre panchine in campionato ed i quattro minuti concessigli in Champions League con il Porto quando i giochi erano belli e fatti. La sua prima con la Roma è durata appena un tempo: quanto è bastato a Luciano Spalletti per convincersi che non meritasse di rientrare sul terreno di gioco.

GERSON STORY – Classe ’97, la Roma sborsa ben 17 milioni di euro per garantirsene le prestazioni: questo avviene un’estate fa, quando il talento brasiliano era appena divenuto maggiorenne. Resta un anno al Fluminense, poi lo sbarco a Roma nel segno dei punti interrogativi del solito partito delle certezze, quelli pronti a bastonare un investimento così corposo per un oggetto misterioso, pur senza mai averlo visto all’opera. Si narra peraltro, con buone percentuali di veridicità, che il direttore sportivo Walter Sabatini abbia dovuto elargire promesse di ogni genere pur di farlo desistere dall’accettare altri club di blasone mondiale e convincerlo della destinazione Roma. Chi si interessò alla vicenda non avrà dimenticato la questione della 10 di Totti. Parliamo insomma di un potenziale ben conosciuto dall’occhio attento del calcio mondiale.

SVILUPPI – L’endorsement di Alessandro Florenzi sembrava aver indirizzato la storia verso un sentiero favorevole: Gerson mi ha stupito, è un’altra persona rispetto alla presentazione di un anno fa. Altro indizio benevolo: la cessione di Pjanic non compensata da un nuovo innesto di spessore. Certo, in primis per favorire e sfruttare il pieno recupero di Kevin Strootman, ma una finestra nel discorso la merita anche il giovanissimo Gerson, che con tanta concorrenza da affrontare non avrebbe avuto grandi chance di impiego. Invece la casella della qualità, quella lasciata vuota dall’addio del bosniaco, può (o meglio potrebbe) essere riempita anche dal suo apporto.

PAREDES – GERSON, CHE BELLOEuropa League, purtroppo per una Roma non in grado di capitalizzare quel terzo posto faticosamente ottenuto nel passato campionato. Non tutto il male viene per nuocere però e tale competizione internazionale, essenzialmente nelle sue prime battute, si configura come luogo ideale per dare concreto spazio ai migliori giovani a disposizione. Per favorire ambientamento e crescita, per valutare la tempistica del pieno inserimento nel calcio dei grandi. Ed ecco in campo, contro i modesti cechi del Viktoria Plzen, contemporaneamente Paredes (’94) e Gerson (’97): il futuro della Roma, ma già il presente. Con loro c’è Nainggolan, a fare da chioccia: un centrocampo splendido, che somma esperienza a senso della posizione, duttilità a talento cristallino, polmoni a proiezione offensiva.

EPPURE… SOLITA MENTALITA’ ITALIANA? – Poi ci può stare che non tutto giri immediatamente alla perfezione. E’ necessario il tempo di prendere le coordinate, conoscersi, intendersi, scrollarsi da dosso alcune insicurezze, sentirsi grandi insomma. A dirla tutta Gerson, in quel di Plzen, non è neanche tra i peggiori: gli capita di non rischiare la giocata, vero, ma va semplice e con lo status di chi è consapevole di quel che sta facendo. La personalità la mostra nei tempi d’inserimento, lascia la posizione per gettarsi nei pressi della porta avversaria ed in un paio di occasioni il pallone che cambia la storia non gli arriva per pura casualità. La fluidità della Roma, quando c’è, non si interrompe certamente dalle sue parti. Eppure: arriva l’intervallo, le cose non vanno perché la banda Spalletti si è fatta ancora una volta rimontare da una situazione di vantaggio, la soluzione del tecnico è quella di lasciare Gerson – e solo Gerson – negli spogliatoi in luogo di un tutt’altro che effervescente Dzeko. Insomma: un colpevole, il diciannovenne brasiliano. Come sa distinguersi in tal senso il calcio italiano nessuno mai.