Juventus, Conte si racconta nell?autobiografia «Testa, cuore e gambe» - Calcio News 24
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2013

Juventus, Conte si racconta nell?autobiografia «Testa, cuore e gambe»

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JUVENTUS SCUDETTO CONTE – In uscita l’autobiografia di Antonio Conte, fresco di vittoria del secondo scudetto consecutivo alla guida della Juventus. L’edizione odierna de La Gazzetta dello Sport ha pubblicato alcuni stralci dell’opera «Testa, cuore e gambe», scritta con Antonio Di Rosa:

Alla Juve da allenatore

È tutta la settimana che, tra le altre cose, penso a come vestirmi in vista dell’appuntamento con Andrea Agnelli: giacca e cravatta oppure informale? Alla fine scelgo jeans, camicia e maglione. È primavera, un pullover di cotone sulla collina torinese mi sembra adatto. Daniele mi accompagna in auto davanti alla villa e fa inversione. Prima di andarsene mi guarda e mi dice: «In bocca al lupo. Mi raccomando, parla senza remore». «Sicuramente. Ti chiamo io quando ho finito». Suono e viene ad aprirmi Andrea in persona. Sì, proprio lui, con il sorriso sulle labbra, jeans e una t-shirt bianca. Niente giacca e cravatta. Mi presenta la moglie e la loro bimba, che si rivolge ai genitori in un inglese perfetto. Magari lo sapessi parlare io in questo modo! Lasciamo la bimba a guardare i cartoni animati e con Andrea entriamo nel salone per cominciare la nostra chiacchierata. Realizzo subito di non essere stato per nulla nei pensieri di Andrea come nuovo allenatore juventino, fino a quel momento. Lo capisco dalle battute iniziali. Mi offre addirittura qualche loro giocatore per la nuova stagione, persino elementi di un certo livello: «Li vuoi al Siena?» mi domanda. Penso: «Scherza o dice sul serio?».

«Li prenderei molto volentieri, ma il Siena non se li può permettere» replico con un sorriso. Rifletto. Ritengo che per ora il messaggio di Agnelli sia il seguente: «Guarda, per quanto mi riguarda rimani al Siena». Capisco che da parte sua, per ora, c’è chiusura. Ma so anche che ho in mano delle carte importanti da giocare. Dopo tredici anni con la maglia bianconera mi posso permettere di dire alcune cose, di analizzare obiettivamente le difficoltà della Juventus. Di discutere riguardo a quello che è accaduto nelle ultime stagioni, della rosa attuale, delle scelte da fare. Così inizio a spiegare come vedo la squadra, quali impressioni mi suscita quando guardo le partite in tv.

«Presidente, non se la prenda, ma la Juve gioca come una provinciale. Negli ultimi anni, non solo in questo, regala sempre metà campo agli avversari. Invece quando una squadra viene a Torino dovrebbe avere timore ancora prima di entrare in campo. Mi ricordo quando venni a giocare per la prima volta con il Lecce al Comunale, ero giovanissimo… Mi tremavano le gambe! Una grande squadra deve sfruttare questa situazione e aggredire l’avversario di turno. Invece la Juve aspetta per ripartire, come fanno le squadre di provincia. Questo non va bene, deve fare la partita, deve prendere il possesso della metà campo avversaria, deve mettere soggezione e far capire subito che c’è poco da fare, sia in casa che in trasferta!».

Lui annuisce, comincia a partecipare in senso positivo, a interessarsi ancora di più al nostro dialogo. «Lo ripeto sempre a tutti che devono ricordarsi quale maglia indossano. Quale storia portano in campo, quali giocatori straordinari li hanno preceduti» dice Andrea andando a ruota libera. Inizia ad aprirsi, tanto che mi chiede di dargli del tu. Poi passa a domandarmi cose più specifiche: «Allora tu cosa faresti se fossi il nuovo allenatore della Juventus?». È la domanda che aspetto. Per prima cosa sottolineo l’importanza di dare forti motivazioni ai giocatori della vecchia guardia, con i quali negli ultimi anni sono state fatte scelte discutibili. «Bisogna rilanciare il nucleo del vecchio gruppo». E ancora: «La Juve ha bisogno di giocatori che hanno fame di vittorie, che sposino totalmente il progetto. In questo momento i nomi non contano troppo».

Ma è soprattutto con un altro concetto a me caro che ritengo di attirare la sua massima attenzione: «Dobbiamo introdurre una nuova idea di calcio in cui tutti attaccano e difendono. Come accade nel Barcellona».

Gli ricordo che la Juve ha speso tanto e sta chiudendo la seconda stagione consecutiva al settimo posto. Fuori dall’Europa. «Sono convinto» aggiungo come un fiume in piena, «che con il lavoro, con un’idea di calcio moderna, con un progetto vincente, la Juventus ha la possibilità di rientrare nell’élite del calcio nazionale e internazionale. E anche in breve tempo».

Terminato il mio discorso, penso che il presidente può essersi risentito e non ritenermi adatto. Oppure ha capito in pieno quello che voglio dire e allora… Scende la moglie, Andrea chiede permesso e la raggiunge nella stanza accanto. Ho giusto il tempo di mettere a fuoco un concetto: «Sono in casa di Andrea Agnelli da tre ore e sto parlando senza sosta». Quando lui ritorna, dai suoi occhi percepisco che è entusiasta della nostra chiacchierata.

«Sono contento di aver parlato con te. È la prima volta che sento discorsi non banali, con un approccio diverso. Il prossimo passo è quello di farti parlare con Marotta». Vale a dire l’amministratore delegato e direttore generale. «Proprio una bella chiacchierata» rimarca con aria soddisfatta mentre mi accompagna fuori.

Il maestro Trapattoni

Giovanni Trapattoni è l’uomo che mi ha aiutato a restare alla Juve per tredici anni, è stato come un padre per me. Se non mi avesse preso sotto la sua ala, a 22 anni appena compiuti non sarei mai riuscito a sopportare il peso della nuova maglia, il peso di trovarmi accanto in allenamento dei compagni che fino a poco prima per me erano idoli. Il primo giorno di allenamento, al centro Sisport di Orbassano, mi rivolgo con il «voi» a tutti. Non c’è un allenamento in cui, aiutato anche da Sergio Brio, non si fermi mezz’ora in più per aiutarmi a migliorare la tecnica e le conoscenze tattiche. Arrivo alla Juve con gli zoccoli ai piedi e lui, come un maestro, in qualche mese me li trasforma in scarpe da calcio.

«Antonio, vieni qua che lavoriamo un po’» è il richiamo. E si comincia. Giovanni Trapattoni, 52 anni, uno degli allenatori più vincenti al mondo, si ferma in campo con Antonio Conte di Lecce, anni 22, appena arrivato dalla Serie B. È un altro di quegli esempi che mi accompagnano quotidianamente anche ora.