La sostanziale differenza tra Lamberto Zauli e tutto il resto - Calcio News 24
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2015

La sostanziale differenza tra Lamberto Zauli e tutto il resto

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Elogio di Lamberto Zauli, trequartista vecchio stampo (e anche hipster senza saperlo)

NOMEN OMEN – Nella antica cultura germanica l’elemento della terra era onnipresente, tanto da ritrovarsi addirittura in alcuni nomi. In tedesco allora come adesso la terra si chiamava Land e dava origine al nome proprio di persona Lambreht, formato sì da Land ma anche da Beraht, ovverosia “brillante, illustre“. Con il passaggio dal germanico all’inglese il nome Lambreht è cambiato parzialmente in base alle traduzioni ed è diventato Landebohrt, inizialmente molto diffuso e poi tramutatosi con il passare delle decadi in Lambert. Nelle Fiandre era un nome piuttosto utilizzato: Lambrecht o Landebert o Lamprecht sono diventati in seguito Lambertus grazie a Lambertus van Maastricht, vescovo e martire cattolico, grazie al quale si deve la diffusione di quel che negli anni è diventato Lambert. Lamberto, in italiano, deriva proprio da Land e Beraht: illustre nella terra. Lamberto, in Italia, è stato anche e soprattutto Lamberto Zauli, uno che è stato veramente illustre nella terra, brillante nella provincia dello Stivale, un giocatore di una classe superiore al normale e che, purtroppo o per fortuna, della normalità è riuscito a fare un vezzo.

HIPSTER – Le partite di calcio normalmente hanno un tempo scandito, Zauli invece è la variabile impazzita, una falla nel sistema che riesce a cambiare all’improvviso lo status quo. Prendiamo un Palermo – Napoli qualsiasi, sfida di Serie B 2003-04. Zauli gioca con la maglia dei rosanero e riceve palla al vertice alto dell’area di rigore avversaria. Un giocatore qualsiasi da lì crosserebbe o la appoggerebbe a un compagno in arrivo, giusto per non intaccare di troppo la linea degli eventi. Invece Lamberto tira, ma non è un tiro di collo o a giro perché quello vorrebbe dire essere mainstream, la conclusione di Zauli è un lob perfetto fisicamente e geometricamente e si infila alle spalle di Manitta facendo esplodere un Barbera mai così caldo in un pomeriggio di novembre. Lamberto Zauli è il primo calciatore hipster della storia del pallone italiano. Parafrasando lo studioso Frank Tirro a proposito del jazz e del movimento hipster americano potremmo dire che Zauli si trova sempre dieci passi avanti rispetto agli altri grazie alla sua coscienza, cerca in ogni momento qualcosa che trascenda la normalità di qualsiasi tipo di situazione. E’ questa la sostanziale differenza tra Lamberto Zauli e gli altri calciatori, tra Zauli e il mondo che lo circonda.

PRIMA DI VICENZA – Zauli tra l’altro è nato a Roma, cresciuto a Grosseto, esploso in Emilia – Romagna e diventato grande prima a Vicenza e poi a Palermo: è anche difficile metterlo in qualsivoglia categoria, tanto è sfuggente. I primi passi li muove nel Grosseto, squadra dove ha giocato pure il padre anestesista, ma da giovanissimo viene preso dal Modena e fatto peregrinare nel centro Italia tra Cento e Fano e poi si ferma a Ravenna, esclusa una parentesi al Crevalcore. Squadre della profonda provincia romagnola e non, che vivacchiano in Serie C anche se il Ravenna, sospinto dalla qualità di un giocatore troppo forte per la terza serie come Zauli a metà anni ’90, riesce a centrare la promozione in Serie B. Il Ravenna di Giorgio Ruminati prima e di Walter Novellino poi riesce a macinare calcio anche alla sapienza di Zauli, troppo tecnico per essere un centrocampista centrale e anche troppo lento per giocare punta o esterno, nonostante soprattutto in seconda serie quel ruolo lo ricopra più volte partendo da sinistra: Zauli è un dieci e gioca dietro le punte. La trequarti è il suo habitat naturale e lo diverrà anche nell’estate del 1997 quando un Francesco Guidolin fresco di Coppa Italia in bacheca lo chiama a Vicenza per la prima esperienza in Serie A. A 26 anni la sua prima avventura nella massima serie è l’inizio di un sodalizio con una città che lo ha amato profondamente e lo ha reso illustre nella sua terra, nomen omen.

IL MOMENTO PIU’ BELLO – Il 2 aprile 1998 non è un giorno come gli altri a Vicenza. Quasi un anno prima i tifosi biancorossi hanno gioito di fronte alla rimonta in finale di Coppa Italia col Napoli e adesso, dopo aver eliminato in serie Legia, Shakhtar e Roda, si trovano al Menti il Chelsea. E’ la semifinale della compianta Coppa delle Coppe, l’ultimo gradino prima di qualcosa di veramente storico. Il confronto pare impietoso ma il Vicenza ha fame, è una squadra di mestieranti onesti che ogni tanto ha sprazzi di qualità inaudita, uno di questi si materializza al minuto numero trentadue. Da sinistra Fabio Viviani lancia in verticale sperando in un miracolo, le fattezze divine le assume nientedimeno che il solito Lamberto Zauli il quale mostra in mondovisione la delicatezza del suo piede destro quando arpiona il traversone di Viviani e lo fa con le spalle alla porta e in equilibrio più che precario. Michel Duberry pare in anticipo sulla palla ma l’uncino di Zauli lo stordisce e il difensore inglese è ancora lì che cerca il pallone mentre il vicentino si gira su se stesso e si porta la palla sul sinistro. Anche Steve Clarke può solo guardare mentre Zauli calcia male di sinistro ma la piazza nell’angolino dove de Goey non arriverebbe nemmeno col pullman. E’ un uno a zero storico, anch’esso hipster e simbolo di un calcio tremendamente romantico che raggiunge il suo apogeo al ritorno con una scucchiaiata magistrale proprio di Zauli per la testa del Toro di Sora Pasquale Luiso che manda in avanti il Chelsea. Il resto è storia, il Chelsea rimonta e dà vita al maggior rimpianto di qualsiasi calciofilo.

MAILER – La carriera di Zauli va avanti legata a doppio filo a giocate da maestro lontane dai grandi riflettori e anche a un numero pazzesco di infortuni. Torna in Serie B col Vicenza e poi arriva al Bologna di nuovo in A con cui segna all’esordio con una bella rete a Venezia al sesto di recupero. A 31 l’ultima occasione arriva da Palermo e dal Palermo e in una città così passionale un dieci come Zauli non può altro che incantare, quando gli infortuni lo permettono, Si rompe di tutto, gioca a sprazzi ma fa in tempo a guadagnarsi l’affetto dei tifosi rosanero, che gli dedicano uno stendardo con scritto “Il piede d’oro di Palermo” e il suo nome serigrafato come quello di una famosa azienda dolciaria quasi omonima. Zauli è sinonimo di qualità e anche a 34 anni riesce a centrare la promozione in A coi siciliani, con cui si toglie gli ultimi sfizi nella massima serie e segna gol non banali, come un sinistro al volo spalle alla porta all’Olimpico con la Lazio. Poi la Sampdoria, la Cremonese e il ritorno in una delle sue patrie adottive, la Romagna, con la casacca del Bellaria Igea Marina. Infine la carriera da allenatore, tutta tra Serie C e Lega Pro in attesa del grande salto, che da calciatore è arrivato anche troppo tardi. Zauli era così, magari non troppo appariscente ma tanto tecnico – non a caso lo chiamavano Zizou – e elegante – non a caso lo chiamavano il Principe. Da solo alzava i toni delle partite, sgambettava tra le linee difensive con la sua dieci sulle spalle e riusciva con un semplice tocco a scatenare un applauso. Andava a una velocità diversa rispetto a tutti gli altri, magari fisicamente non era un centometrista ma il cervello viaggiava in anticipo sugli avversari. Delicato, maestoso, magistrale, amorale e decadente: come Norman Mailer, se solo quest’ultimo avesse saputo giocare a pallone.