Tardelli: «Quando segnavo gol importanti urlavo la mia gioia come Springsteen» - Calcio News 24
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Tardelli: «Quando segnavo gol importanti urlavo la mia gioia come Springsteen»

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Il campione azzurro ci presenta ‘Tutto o Niente’ scritto con la figlia Sara. «Il Bernabeu mi ha reso un’icona, ma io volevo solo la normalità»

Fosse nato quando sfoderava quel famoso urlo mondiale, ora sarebbe ricco e venerato come Gerrard, Lampard o Modric. Adesso varrebbe tanti milioni di euro quanto pesa. Sarebbe un centrocampista totale, capace di ostacolare gli avversari, ma anche di far ripartire rapidamente il pallone per la gioa di ogni mister. Ci metterebbe, insomma, un gran cuore alla De Rossi. E invece è venuto al mondo nel bel mezzo degli anni ’50 e li ha fregati tutti quanti interpretando il suo gioco anarchico, il suo calcio sentimentale, quando i ruoli erano decisamente più rigidi. Anticipando i tempi ed entrando nella leggenda dei più grandi.

Eh già, Marco Tardelli è stato ben più del sinistro “out of the blue” (per dirla all’inglese) che trafisse l’antipatico portiere tedesco Harald Schumacher la magica notte dell’undici luglio 1982. Quello del 2-0 alla Germania Ovest e tutti a casa, terza coppa del mondo azzurra messa definitivamente in frigo. Quello dell’ululato-rock del Coyote di bearzotiana memoria. No, Tardelli è stato (ed è) soprattutto un italiano con una fame atavica di rivalsa. Una fame che, a 62 anni ancora da compiere, l’ha fatto mettere nero su bianco la sua vita, assieme alla figlia Sara, nel bel libro ‘Tutto o Niente’ uscito di recente per Mondadori. Perché, quando nasci Marco Tardelli a Capanne di Careggine in piena Garfagnana, nessuno ti regala nulla e ogni cosa va sudata duramente. Finché non riesci a riscrivere una storia già destinata a favore di altri. Finché non ti accorgi che tra te e uno come Bruce Springsteen ci stanno solo le cave di marmo bianco da una parte e il New Jersey operaio dall’altra. Tutti e due eroi del popolo pur svolgendo mestieri diversi. Uno calcia e imposta, l’altro canta e suona la Fender. Pronti, entrambi, ad urlare di fronte a folle immense. Gooool! Born down in a dead man’s town! La differenza, in certi casi, è talmente minima da sembrare impercettibile…    

Marco, fai i complimenti a Sara: ‘Tutto o Niente’ è un libro genuino e davvero ben scritto.
«Si vede che i cromosomi sono quelli giusti! (ride) No, scherzi a parte, la prima volta che ho sbirciato la versione finale l’ho trovata davvero una lettura per tutti i gusti e per questo devo dire grazie a Sara. ‘Tutto o Niente’ potrebbe essere destinato agli adulti come ai bambini perché queste sono storie in cui chiunque può riconoscersi: dal sogno adolescenziale di diventare un calciatore ai problemi reali della vita adulta.».

Il titolo in origine doveva essere ‘L’Urlo’, vero?
«Era un’ipotesi, effettivamente, ma l’urlo lasciamolo pure dove sta. Ovvero in quella notte madrilena di ben 34 anni fa. È passato tanto tempo da allora ed io penso di essere andato avanti. Anzi, ne sono assolutamente certo.».

Hai provato a diventare normale. Nel libro, ad un certo punto, parli addirittura del piacere di andare a pagare una bolletta in posta…
«Ho sempre ambito alla normalità. Una volta smesso col pallone dopo l’esperienza svizzera al San Gallo (fine della stagione ’87/’88, Ndr), mi sono subito buttato nella vita di tutti i giorni perché il calcio, a quei tempi, mi aveva un po’ stufato. Se pensavo al mio futuro mi vedevo al massimo come opinionista in TV solo che poi è arrivata la chiamata dell’Under 16 e quasi senza accorgermene mi sono ritrovato allenatore per i successivi venticinque anni (Tardelli, tra le altre, ha diretto l’Under 21, l’Inter, il Bari, la nazionale egiziana, l’Arezzo, è stato vice di Trapattoni sulla panchina dell’Irlanda ecc. Ndr)…».

Della serie: un’impresa essere visto come “normale” se di cognome fai Tardelli…
«Non ho mai avuto problemi ad essere riconosciuto al ristorante o in aereo. Diciamo che la cosa mi fa pure piacere, ma ho sempre cercato di tenere i piedi per terra perché il calcio, soprattutto quando smetti, resta una landa di falsi amici pronti a dimenticarsi in fretta di te. Per fortuna al mondo esistono anche gli amici veri. Come Claudio Gentile o Fulvio Collovati, giusto per farti i primi due nomi che mi vengono in mente…».

Senti, ma il vero urlo non era nato due anni prima del Bernabeu? Campionato Europeo 1980: Italia-Inghilterra, 1-0 per noi con tiro al volo e relativo gol del Coyote. Esultanza identica.
«Sì, l’urlo primigenio nacque proprio durante quella serata torinese al vecchio ‘Comunale’. Vedi, io non sono mai stato un goleador però al tirar delle somme l’avrò messa dentro almeno una cinquantina di volte in carriera: una cifra niente male per un centrocampista con compiti difensivi. Quindi, tutte le volte che segnavo gol importanti, semplicemente impazzivo. Mi si spegneva il senno e cominciavo a correre come un folle. Urlando a sguarciagola.».

Hai mai creduto nelle premonizioni?
«Nel calcio siamo tutti quanti più o meno superstiziosi… (sorride)».

Perché, sempre durante quel malinconico Europeo giocato in casa nostra, tu anticipasti l’urlo contro la Germania Ovest mentre Graziani, segnando di testa alla Cecoslovacchia, realizzò una rete-fotocopia di quella che poi avrebbe inflitto al Camerun a Vigo. Come dire: prove generali in vista del trionfo del ’82…
«(ridacchia) A dire il vero la vittoria di quel Mundial nacque già nel 1976 quando Enzo Bearzot iniziò ad assemblare la squadra. Poi venne la bella avventura in Argentina, un Europeo così così e infine la storia che conosciamo tutti. Io lo dico sempre: in Spagna, superato il girone eliminatorio, ci trovammo in ottime condizioni atletiche coadiuvati da una grande qualità tecnica. Insomma, quel torneo non è stato vinto per caso.».

Visto che stai promuovendo un libro, ti ricordi cosa avevi sul comodino durante quelle notti iberiche? Tu, tra l’altro, eri uno che dormiva pochissimo…
«Al Mundial mi portai dietro Gabriel Garcia Marquez; e pure qualcosa di Giovanni Arpino visto che ero un fan della sua scrittura fin da quando lessi ‘La Suora Giovane’. Gran persona, Giovanni: elegante giornalista di calcio e straordinario narratore, una perdita enorme per la nostra cultura… Al giorno d’oggi, invece, non mi perdo un libro del mio amico Roberto Calasso.». 

La recente impresa di Vincenzo Nibali ti ha fatto sentire odore di Spagna ’82? Voglio dire: fino a giovedì scorso eravamo tutti lì ad attaccarlo e a darlo per morto, poi lo Squalo ha compiuto l’impresa del Colle dell’Agnello e siamo tutti saltati sul carro. A me ha ricordato qualcosa…
«Noi italiani, purtroppo, siamo fatti così: ci piace distruggere prima del tempo, vivere circondati da grandi difficoltà incombenti, è nel nostro maledetto DNA. Io ne so qualcosa visto che qualsiasi Nazionale di Bearzot è stata attaccata prima di ogni competizione importante! Il segreto, in quei casi, era fare gruppo e sbattersene. E nel 1982 andò esattamente così con tanti saluti ai gufi e a chi la sapeva lunga…».

Quindi, se tanto mi dà tanto, in Francia faremo una bellissima figura…
«Calma, prima di tutto siamo in un girone non facile, ma non impossibile. Poi si vedrà. Magari esplode Bernardeschi, come accadde a Cabrini e Rossi nel ’78, e a quel punto chi può dirlo cosa succederà? Anche perché, a parte la Francia che gioca in casa e la solita Spagna, non vedo mostri sacri a quest’Europeo, Germania compresa. Il Belgio? Ottimo team, ci mancherebbe, ma non ancora del tutto abituato a questi grandi eventi.».

Nel girone ce la vedremo anche con l’Irlanda. Corsi e ricorsi…
«Beh, nel 2012 essendo vice del Trap, non potevo che fare il professionista e sperare che gli Azzurri perdessero contro di noi. Quest’anno, invece, sarò totalmente dalla parte di Conte e dei suoi ragazzi. Occhio però alla ‘mia’ Irlanda perché ne parlano in pochi finora, ma all’Europeo andrà con una bella squadra.».

Ultima domanda: ma è vero che sei sempre stato un calciatore musicofilo? Una mosca bianca in quest’ambiente.
«Assolutamente sì. (fissa rapito un vinile di Ivano Fossati poco distante da noi, Ndr) Fossati è sempre stato uno dei miei artisti preferiti assieme a Celentano, Vecchioni, Mina, Renato Zero, Battiato. Ma in quegli anni ’80 mi piaceva anche il rock: una volta andai in America a giocare delle amichevoli con la Nazionale e tornai carico di album di Bruce Springsteen.».

Un altro, il Boss, che in quanto ad urla e vene gonfie sul collo se ne intende…
«Springsteen non si discute: si ama. Mi piacerebbe andare a vederlo in concerto a Roma il prossimo 16 luglio. Quando finisce l’Europeo in Francia? Sei giorni prima? E allora quasi quasi…».

‘Tutto o Niente’, la biografia di Marco Tardelli scritta da sua figlia Sara, è disponibile nelle migliori librerie. 

Intervista a cura di Simone Sacco; per comunicare: calciototale75@gmail.com