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Marco Verratti è il nuovo leader azzurro

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Marco Verratti può essere il nuovo punto di riferimento per la Nazionale di Ventura: a patto che trovi la continuità

Vedrete che uscirà fuori il tema alla vigilia di Italia-Spagna, lo snodo decisivo del nostro cammino Mondiale (vedete forse altri ostacoli per le due Nazionali favorite?) Se non prima, data l’ottima e rinfrancante prestazione di Marco Verratti nel cerchio di centrocampo in Israele, ispiratore il giusto e bravo nel regalare sicurezze alla squadra. Ci chiederemo cioè se sia lui il futuro leader della Nazionale, il nuovo Pirlo, ricordando come il regista di Milan e Juventus fosse stato decisivo nel dare un’impronta definita alla Nazionale nata dalle ceneri del Mondiale sudafricano. E vi era riuscito sulla base di una costatazione che bisognerebbe sempre porre accanto alla leadership esercitata sul campo di calcio (e se volete anche insieme al termine campione o top player che dir si voglia): la continuità delle prestazioni.

Non mi riferisco a quella in campionato e nel proprio club d’appartenenza, più facile da ottenere data la normale quotidianità del lavoro. In azzurro – e non vale solo per noi, pensate al curriculum di Messi nella sua Argentina – solo i grandissimi sanno ripetersi con costanza. Perché l’iterazione della buona condotta è ben più difficile, non si può stare dentro i confini di una positiva normalità. Bisogna saper fare la differenza, diventando così veri punti di riferimento. In altri termini, proporsi come insostituibili, essenziali, necessari, nel contesto di un gruppo che per tante ragioni è sottoposto a continui processi di rinnovamento con il gioco delle convocazioni. In Nazionale non si è mai certi né del proprio posto, né del rapporto che si va a stabilire con i compagni. Si ha a che fare perciò con un compito speciale, più difficile (oltre al fatto che nelle amichevoli, consuetudine tutta nostra, anche i migliori staccano la spina: lo stesso Marco Verratti, nel tempo a disposizione avuto con la Francia, non è certo stato il giocatore visto ad Haifa, convinto nel suo esprimersi).

Cosa è successo negli ultimi anni, diciamo dal 2012 a questa parte, a proposito della capacità del singolo di proporsi come protagonista vero e di non farlo in maniera episodica? Stare cioè in quell’area di valutazione di larghissima sufficienza, se non addirittura andare oltre, essere il migliore e il trascinatore per almeno due gare consecutive, conquistando una riserva di credibilità e autorevolezza? Chi vi è riuscito? Sulla base dei voti in pagella, un’indagine “laica”, cioè non influenzata da pregiudizi (una tentazione critica molto forte quando si valuta la Nazionale) ci può dire qualcosa di molto importante sul parco tecnico a disposizione dei CT che si sono avvicendati in questo decennio.

Ebbene – e questo spiega molte cose sul dibattito intorno a lui – il primo a proporsi come giocatore in grado di dominare per un periodo è nientemeno che Mario Balotelli. Vi riesce segnando al Brasile in amichevole e poi ripetendosi con la doppietta a Malta per le qualificazioni al Mondiale del 2014. Poi, scompare, ricevendo un 4 in pagella con la Repubblica Ceca. In Confederations Cup colpisce il rendimento di Giaccherini, ed è un’indicazione importante tenendo conto di come il fantasista-lavoratore (solo per lui si può applicare questa definizione) sia stato apprezzato da chiunque lo abbia allenato. In quella manifestazione, anche De Rossi offre una serie di prove che ne certificano la statura internazionale (bisognerebbe mostrargliele di nuovo, in periodi non semplici come questi…). Buffon non è praticamente mai in discussione, anche perché non c’è partita somigliante a quelle con la Juventus, dove talvolta si merita il senza voto perché totalmente inoperoso. A Brasile 2014 ci arriviamo con un Marchisio che va in gol nell’ultimo test amichevole con il Lussemburgo (un preoccupante 1-1…) e si ripete nella prova d’esordio con l’Inghilterra, prima che il buio cali sul gruppo azzurro.

Con l’inizio della gestione Conte il primo a colpire è Simone Zaza: ha carattere e numeri in bella evidenza sa Bari contro l’Olanda, segna in Norvegia nella gara che inaugura il cammino per gli Europei, poi va decisamente più piano nelle prove successive. Tocca allora a Pellè: firma il gol da 3 punti a Malta, ma ci vorrà un po’ di tempo prima di conquistare il diritto alla titolarità. Meglio di lui fa Eder: segna in Bulgaria, fa bene con l’Inghilterra in amichevole a Torino, ma anche per lui la prospettiva di diventare un cardine dell’attacco è sempre una meta da conquistare, non un dato acquisito una volta per tutte. Piace Darmian nella brutta amichevole con il Portogallo (segnò Eder, il lusitano, anticipando il verdetto della finale con noi al posto della Francia…). E nel passaggio dal Torino al Manchester United, il terzino si conferma, anche se con l’inizio del 2015-16 è Candreva a proporsi con maggiore evidenza. E’ lui, a onor del vero, a regalare la sensazione di una maggiore affidabilità nella scala temporale, in parte imitato da Parolo e soprattutto da Florenzi da Italia-Norvegia in poi (ottobre 2015), tre gare tre da migliore in campo che fanno dire a Sabatini che tra lui e Dani Alves sceglierà sempre il suo pupillo. Infine, si arriva all’Europeo francese. Tra vigilia ed esordio con Belgio s’impone la centralità della figura di De Rossi. Ma è Bonucci il vero leader della spedizione, per capacità di direzione del reparto e spirito guerriero, oltre a Chiellini, splendido in ogni gara (impossibile solo pensare che quello della versione di Ventura sia lontano parente di quello visto contro Spagna o Germania). Infine, tra le righe – più per il futuro, ma chissà quanto prossimo – quando si alza dalla panchina Lorenzo Insigne accende le partite e lascia intendere che prima o poi toccherà a lui.

Il quadro è questo. Ventura ha di che pensare ma non è un materiale così povero come si pensa. Non ci sarà il fuoriclasse nei ruoli nevralgici, ma non manca qualche figura da accostare a Verratti, il più probabile indiziato come nuovo leader.