Presidenti di calcio e guai con la giustizia: decaduti, condannati, arrestati - FOTO - Calcionews24
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Non solo Ferrero: presidenti e tribunali, la storia infinita – FOTOGALLERY

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presidenti di calcio e guai con la giustizia

Presidenti di calcio e guai con la giustizia: Ferrero ma non solo. Il numero uno della Sampdoria è solo l’ultimo di una lunga serie di presidenti alle prese con tribunali e, molto spesso, manette. Storie (quasi sempre tristi) di vittorie e cadute rovinose

Soldi, fama, successo, vittorie, poi il baratro. Non sarà sicuramente il caso di Massimo Ferrero (o almeno ce lo auguriamo), ex presidente della Sampdoria formalmente decaduto dalla carica per via di una vicenda giudiziaria vecchia già di qualche anno (addirittura precedente al suo insediamento alla guida delle società blucerchiata): quella del crac Livingston, compagnia aerea per il cui fallimento Ferrero era stato accusato di bancarotta fraudolenta (avrebbe cioè sottratto soldi alla società per portarli nelle proprie casse personali) con tanto di patteggiamento a un anno e dieci mesi di carcere (per il momento con la condizionale). È stato il caso però di tantissimi altri presidenti, italiani e non solo, che nel calcio hanno investito (e pure ottenuto risultati), ritrovandosi da un giorno all’altro impelagati in vicende giudiziarie che li hanno travolti del tutto. Non tutti sono decaduti, come da regolamento, dalle rispettive cariche: alcuni semplicemente hanno dovuto arrendersi e mollare, prima ancora che fosse la giustizia sportiva ad occuparsi di loro, altri hanno resistito o, addirittura, resistono ancora. Chi sono costoro? Breve storia di triste di calcio, giudici e manette che tintinnano.

Presidenti di calcio e guai con la giustizia: in principio fu Bernard Tapie

A sconvolgere per primo l’Europa fu Bernard Tapie, ex imprenditore proprietario addirittura della multinazionale di abbigliamento sportivo Adidas fino al 1993 ed ex politico francese di altissimo rango. Nel 1986 Tapie acquista l’Olympique Marsiglia e lo rende uno dei club più vincenti d’Europa, portando a casa persino una Coppa Campioni nel 1993 (contro il Milan). Di Tapie non si parla bene in Francia e le voci controverse che lo riguardano sono tante: colpa soprattutto di alcune vicende legate a strani gossip (mai confermati) riguardanti l’uso di sostanze dopanti dalle parti di Marsiglia, ma colpa pure del famigerato caso delle luci del Velodrome nella partita con il Milan (1991), quando l’amministratore delegato rossonero Adriano Galliani decide di ritirare la squadra beccandosi una squalifica. Nel 1994 però scoppia il vero caso: Tapie viene indagato dalla giustizia sportiva per aver pagato i giocatori del Valenciennes qualche mese prima, in vista di una partita di campionato. Il motivo? Convincerli a perdere contro il Marsiglia affinché la squadra potesse risparmiare energie a pochi giorni dalla finale di Coppa Campioni (poi vinta) contro il Milan. La federazione francese squalifica Tapie e retrocede d’ufficio il Marsiglia in seconda divisione. Poi arriva la giustizia ordinaria: Tapie viene condannato a due anni di galera, scontati nel 1997 (con addirittura otto mesi di carcere di isolamento, come i peggiori criminali), per illecito sportivo. Non sarà però quella la fine della sua carriera nel mondo del calcio. Sorpresa delle sorprese, nel 2001 Tapie tornerà a Marsiglia nelle vesti di direttore sportivo e vi resterà per un anno: sarà l’ultimo ruggito del leone.

Presidenti di calcio e guai con la giustizia: i casi Cragnotti, Tanzi e Cecchi Gori

Il caso Tapie, a livello europeo, sarebbe stato solo il primo di una lunga serie: di lì a poco, infatti, l’Italia avrebbe fatto tristemente scuola, ancora una volta, anche per ciò che riguarda i guai giudiziari dei propri presidenti di massima serie. Nel 2001 l’allora presidente della Fiorentina, Vittorio Cecchi Gori, rampollo di una dinastia che aveva fatto del cinema il proprio business vincente, riceve un avviso di garanzia per concorso in riciclaggio: nel corso di una perquisizione a casa sua, a Roma, la polizia ritrova in una cassaforte grosse quantità di cocaina (quella che poi lui stesso definirà nel corso di interviste varie, per giustificarsi goffamente, come “zafferano”). È solo l’inizio della fine, perché di lì a poco i guai dell’allora numero uno viola, autore di una gestione sportiva all’apparenza impeccabile, con il risorgimento di una squadra che era arrivata addirittura a competere per lo Scudetto, guidata da Gabriel Omar Batistuta in campo e Giovanni Trapattoni in panchina, diventano impossibili da sostenere: Cecchi Gori non può più coprire i buchi a bilancio delle sue società, tra cui la stessa Fiorentina. Nel 2002 viene arrestato, quando ormai è certificato il fallimento della società viola, cancellata da ogni albo FIGC e costretta a ripartire dalla Serie C2 con il nome di Florentia Viola ed una nuova proprietà (quella attuale della famiglia Della Valle). Nel 2006 verrà poi condannato a tre anni e quattro mesi in via definitiva per bancarotta, sconterà però solo pochi mesi agli arresti (tre anni gli saranno condonati per indulto).

È anche l’inizio della fine di un’era: quella della finanza creativa, ovvero di amministratori che prendevano soldi dalle proprie società come se non ci fosse un domani, creando utili fittizi per far tacere ogni voce. Nel 2003 si moltiplicano le voci sul possibile crac di Parmalat, azienda leader nel settore caseario: è tutto tristemente vero. Ad essere travolto dallo scandalo, che lascia per strada centinaia di lavoratori, è il numero uno dell’azienda Calisto Tanzi, presidente del Parma dei miracoli, squadra di provincia arrivata sul tetto d’Europa. Il 27 dicembre 2003 Tanzi viene arrestato con le accuse di aggiottaggio e bancarotta fraudolenta e rimarrà in carcere quasi un anno: seguiranno una serie di processi che lo vedranno sempre imputato e quasi sempre condannato. Si salva invece, almeno parzialmente, il Parma, finito in amministrazione controllata con un escamotage che poi farà scuola: quello della Legge Marzano, entrata in vigore proprio per salvare la aziende di Tanzi, che permetterà ad un affidatario (il manager Enrico Bondi) di gestire per lungo tempo la società risolvendo tutti i debiti in essere. Nel gennaio 2007 il Parma sarà poi ceduto all’imprenditore bresciano Tommaso Ghirardi, che nove anni dopo porterà la società al fallimento, stavolta sul serio: questa però è un’altra breve storia triste…

Pochi mesi prima a far tremare la Serie A era stato Sergio Cragnotti: il presidente della Lazio, proprietario dell’azienda leader nel settore dei prodotti agricoli Cirio, nel 2002 non regge il peso dei debiti ed è costretto a lasciare tutti i suoi beni, biancocelesti compresi, in mano alle banche con cui si è indebitato e che bussano alla sua porta. Finisce così un’era fatta di successi incredibili in Italia ed in Europa e culminati con la vittoria di uno Scudetto magico nel 2000, con una squadra ricca di campioni. Cragnotti, finito in default (fallimento completo) nel 2003 viene accusato di bancarotta fraudolenta e, proprio come l’amico e collega Tanzi, rinchiuso in carcere. In attesa della condanna definitiva (che ancora deve arrivare), la Lazio viene salvata dalle banche e, soprattutto, dal Governo, che redige un decreto idoneo a far iscrivere la società al campionato nonostante i debiti enormi che si porta sulle spalle. Debiti che si accollerà per intero nel 2004 il nuovo proprietario Claudio Lotito.

Presidenti di calcio e guai con la giustizia: l’arte di fuggire di Luciano Gaucci

Personaggio ugualmente controverso, ma ben più pittoresco, sarà Luciano Gaucci, presidente del Perugia di Serse Cosmi e delle tante stranezze che pure avevano reso la società umbra protagonista del nostro campionato. Pure l’imprenditore romano, come i colleghi, ad un certo punto in poi non riesce a reggere il peso dei debiti: nel 2005 il Perugia fallisce e riparte dalla Serie C1 grazie al Lodo Petrucci (studiato appositamente per evitare ai club più importanti della Penisola, ma in stato di fallimento, la ripartenza direttamente dai Dilettanti). Gaucci però si sottrae alle accuse di bancarotta fraudolenta, al processo e, soprattutto, all’arresto, quindi parte per la Repubblica Dominicana e di fatto diventa latitante. Nel 2009 torna in Italia per saldare gli ultimi conti con la giustizia italiana non molto dimagrito, ma sicuro più abbronzato.

Presidenti di calcio e guai con la giustizia: Cellino, Preziosi e Pulvirenti, mollare mai

C’è poi chi nemmeno sotto le scure delle manette molla ciò che è suo. È il caso dell’ex presidente del Cagliari Massimo Cellino, arrestato nel 2013 insieme all’allora sindaco di Quartu Sant’Elena Mauro Contini con l’accusa di peculato e falso ideologico: Cellino avrebbe pagato i dirigenti del comune sardo per permettere la costruzione in tempi record dello Stadio Is Arenas, per qualche mese casa del Cagliari (che aveva lasciato il capoluogo sardo proprio per gli attriti di Cellino con l’amministrazione locale). La giustizia sportiva inizialmente inibisce Cellino, poi la Corte di Giustizia Federale annulla la sentenza. Allo scoccare delle manette però il numero uno rossoblu però non può fare altro che autosospendersi. Mollare? Nemmeno per sogno: dopo un mese circa di carcere a Cellino verranno concessi gli arresti domiciliari, quindi nel maggio 2013 tornerà a prendere potere della società, che venderà solo un anno più tardi all’imprenditore milanese Tommaso Giulini. Per Cellino non è la fine di nulla: pochi mesi dopo vola in Inghilterra ed acquista lo storico club del Leeds United (impelagato in seconda divisione), di cui nonostante il parere inizialmente contrario di federazione inglese e tifosi, diventa il numero uno.

Storia non troppo dissimile quella di Antonino Pulvirenti, presidente del Catania. Nel 2015 il numero uno etneo viene arrestato all’improvviso con l’accusa di frode sportiva e truffa: avrebbe truccato alcune gare del campionato di Serie B della stagione precedente dando inizio, inconsapevolmente, ad una nuova stagione di calcioscommesse in Italia. Non finisce qui: un anno dopo Pulvirenti sarà arrestato nuovamente per il crac della compagnia aerea Wind Jet. Il Catania verrà retrocesso in Lega Pro, ma Pulvirenti non mollerà mai la presa: nonostante l’inibizione per cinque anni come presidente, rimarrà deus ex machina e proprietario dei rosazzurri.

Anche il presidente del Genoa Enrico Preziosi di guai con la giustizia ne ha avuti: ai tempi in cui era numero uno del Como nei suoi confronti fu emesso un ordine di custodia cautelare per bancarotta fraudolenta. Diversa la questione legata alla famosa valigetta per la compravendita della partita Genoa-Venezia (anno 2005), quando l’accusa diventa addirittura di associazione a delinquere. Nel 2013 invece Preziosi è indagato per il mancato versamento dell’Iva relativo al bilancio rossoblu del 2011: il 19 luglio 2012 viene condannato ad un anno e mezzo di reclusione. Tra inibizioni, squalifiche e condanne, alla fine, l’imprenditore avellinese è sempre rimasto in sella: come ci sia riuscito in tutto questo tempo, è forse troppo complesso da spiegare…

Presidenti di calcio e guai con la giustizia: Berlusconi docet?

Impossibile non citare la ventennale vicenda giudiziaria di Silvio Berlusconi, presidente del Milan, che anni tiene incollata a tv e giornali l’Italia intera. Nel 1994, all’entrata in politica, Berlusconi decide di mollare la presidenza del Milan rimanendo solo formalmente proprietario: in realtà, nella sostanza, sarà sempre lui a dirigere insieme all’amministratore delegato rossonero e presidente vicario Adriano Galliani, l’assetto sportivo e non solo del club. Al momento Berlusconi figura ancora come presidente onorario rossonero, ricoprendo una carica nella pura teoria non operativa che, al netto dei guai giudiziari e delle sentenze passate in giudicato che gli sono già costate ben altre cariche ed onorificenze, non dovrebbe essere oggetto di alcuna decadenza. Ferrero può prendere spunto.

Presidenti di calcio e guai con la giustizia: Uli Hoeness è tornato!

Uli Hoeness è stato presidente del Bayern Monaco dal 2009 al 2014 dopo essere stato per oltre trent’anni, dopo la carriera da calciatore, direttore generale del club. Il 13 marzo 2014 un tribunale tedesco lo condanna a tre anni e mezzo di carcere per frode fiscale (Uli avrebbe evaso le tasse): l’ex attaccante immediatamente molla la carica e, senza battere ciglio, con precisione tedesca, accetta il verdetto. Trascorrerà ben ventuno mesi in carcere, senza tv e svolgendo mansioni molto umili, come occuparsi della lavanderia, prima di essere rilasciato. Nel 2016 torna ad essere eletto presidente da parte del consiglio di amministrazione del Bayern Monaco, carica che ricopre ancora oggi. A volte, dopo la caduta, c’è anche il ritorno.