Tango triste per un giardiniere - Calcio News 24
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2014

Tango triste per un giardiniere

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La storia di Julio Ricardo Cruz, punta col fisico da tanguero

TAGLIAERBA – La leggenda narra che qualche anno fa un ragazzo delle giovanili del Banfield che per arrotondare dava anche una sistemata ai campi di allenamento facendo il giardiniere, venne fatto esordire in prima squadra giovanissimo e qualche partita dopo alla Bombonera contro il Boca Juniors lo stesso ragazzo segnò il gol decisivo per il due a uno. Allorché tutti si chiesero chi fosse quel giovane spilungone dal volto triste e dalle movenze da ballerino di tango, il nome non se lo ricordava quasi nessuno, quindi passò alla storia come El Jardinero, il giardiniere. La verità è molto più semplice, quel giocatore non ha mai tagliato l’erba nei campetti del Banfield, si divertiva solamente con gli amici a fine allenamento accanto a un tagliaerba. Da qui la sconclusionata connessione col soprannome che gli venne realmente affibbiato dopo il gol alla Bombonera: El Jardinero, nato Julio Ricardo Cruz.

ZAMBA – Cruz nasce nel 1974 e da quel momento inizia a insaccare ogni pallone che gli capita a presso. A vederlo non sembra nemmeno argentino, ha dei lineamenti strani, ma il suo modo di camminare e di correre non tradisce le sue origini: è di Santiago del Estero, città del nord dell’Argentina famosa per la sua cultura musicale, soprattutto per la Chacarera e la Zamba. Proprio la Zamba è la trasfigurazione musicale dell’andamento lento di Cruz: cupo, solitario e curvo in area di rigore, Cruz danza col pallone e fa venire fuori il lato romantico del suo rapporto con la sfera, dalla quale si allontana e si avvicina quasi a ritmo cadenzato, per poi sempre con la solita espressione riuscire a mettere dentro un gol dei suoi né bello né brutto né medio. Un gol alla Cruz, uno dei tanti.

JARDINERO – Banfield è troppo poco per lui, dopo tre stagioni in cui il Jardinero sboccia e si afferma nel calcio argentino, è tempo della consacrazione, che per uno che è diventato famoso segnando al Boca Juniors è sicuramente il River Plate. La prima e unica stagione coi millionarios è un saggio di finalizzazione, segna un gol ogni due partite e vince sia l’Apertura che il Clausura, conquistandosi lo sguardo languido dell’Europa, in questo caso del Feyenoord. L’Olanda è calma, è bella ma si mangia troppo. Cruz alle 15.30 è già a casa e quindi mangia, arriva addirittura a pesare 90 kg, che comunque sono ben distribuiti nel suo fisico da un metro e novanta. Non mangia i gol, quelli no, e in tre stagioni ne segna 44, vincendo un’Eredivisie e mettendo paura alla Juventus in Champions nel 1997, anche se poi sono i bianconeri a passare il turno. Nel settembre del 2000 però arriva la chiamata dell’Italia, Guidolin lo vuole a Bologna e la danza del Jardinero continua sotto le due Torri. Non prima, però, di aver perso una decina di chili e la trasformazione fisica alla Robert De Niro un po’ si ripercuote nella sua prima stagione felsinea.

BOLOGNA – C’è un momento particolare in cui si pensa che questo Cruz possa essere l’ennesimo bluff del calcio italiano, è uno Juventus – Bologna: dopo alcune buone giornate senza però la condizione fisica ideale, Cruz ha segnato un supergol alla Fiorentina e una rete al Napoli grazie alla goffaggine di Coppola, ma a Torino può metter dentro il rigore del pari con la Juventus a pochi minuti dal termine. Invece tira alto, e sprofonda in una sorta di depressione calcistica. I tifosi lo sopportano poco, tant’è che esultano quando viene squalificato per somma di ammonizioni, non è un buon momento ma a un certo punto della sua avventura bolognese cambia tutto. Il 2001-02 è la stagione del rilancio e il gaucho Cruz si mette sulle spalle il Bologna e con l’amico – compagno Signori porta quasi in Champions i rossoblu. Se non fosse per quel 5 maggio 2002, non quello dell’Inter ma quello in cui il Bologna passa dalla Champions all’Intertoto. In mezzo a tutto questo qualche gol eccelso, come quello al Verona, una doppietta alla Roma di Capello e finalmente l’amore corrisposto con la curva del Dall’Ara.

INTER – Dopo un’altra stagione in doppia cifra, quella 2002-03, arriva il momento del grande salto. L’unica cosa buona fatta da Cuper all’Inter, afferma qualche crudele tifoso nerazzurro, è proprio l’essersi impuntato sul volere Cruz come nuovo acquisto. Perché sì, quel lungagnone non sarà poi così bello da vedere, si muoverà secondo i suoi ritmi, ma comunque la butta dentro. Milano però non è Rotterdam o Bologna, lì ci sono fior fior di attaccanti e quindi la maglia da titolare va sudata. E’ proprio all’Inter, dove in sei stagioni non è mai stato titolare, che Cruz ha fatto vedere tutto il suo talento. Triste, solitario e (quasi) finale come direbbe il suo compatriota Osvaldo Soriano: da punta centrale è mortifero, a partita in corso poi non ce n’è per nessuno. Nei sei anni a San Siro Cruz vince tutto quello che in Italia c’è da vincere e in Coppa Italia spadroneggia diventando uno dei migliori marcatori della competizione nel XXI secolo.

SIPARIOMancini, a lungo suo mister, sapeva di poter contare sempre su di lui. Come quell’11 marzo del 2007. Ronaldo, in maglia Milan, ha appena zittito mezzo Meazza quando nella ripresa al 55′ il tecnico manda in campo Cruz. Passano undici secondi, un tempo maledettamente breve, e lì, dopo l’ennesimo errore di Dida, c’è il ballerino di Zamba che la insacca e dà il via alla rimonta nerazzurra nell’anno dei record. Dopo l’addio all’Inter tenterà anche l’esperienza alla Lazio ma, a 36 anni nel 2010, decide che è l’ora giusta per smettere. Cruz non era la classica punta che ricorderemo in eterno, o almeno non tutti. Aveva un nome da attaccante, molto piacevole da pronunciare, ma non solo; giocava quasi col broncio, impassibile anche nelle sue esultanze contenute anni Settanta, e soprattutto la metteva sempre dentro. Sono quelli gli attaccanti che piacciono ai tifosi, quelli che magari centrano troppo spesso gli stinchi del portiere, ma poi quando c’è da segnare loro ci sono sempre, in qualsiasi momento dell’anno o della partita. A meno che non stiano tagliando l’erba, questo è ovvio.