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van Basten: «Milan, non ti ho mai dimenticato. La Serie A…»

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Marco van Basten

Oggi consigliere di Infantino alla FIFA, Marco van Basten ripercorre la sua carriera e disegna il futuro del calcio: «Ridurre il numero di partecipanti ai campionati, le stagioni sono troppo lunghe»

Alla FIFA c’è aria di cambiamenti da quando c’è la nuova presidenza: Gianni Infantino parla di Mondiale a 48 squadre e soprattutto si è creato uno staff di livello. Tra i suoi componenti c’è Marco van Basten, chiamato per la delega all’innovazione tecnologica. Tradotto: cercare di rendere più spettacolare il calcio. E quindi idee che potrebbero tradursi in nuove regole più un aiuto sull’introduzione della moviola in campo. In una lunga intervista concessa a “La Gazzetta dello Sport”, però, l’ex attaccante dell’Olanda e del Milan non si concentra solo sulla FIFA.
TECNOLOGIA E DUELLI – Van Basten, quando giocava lei era impossibile annoiarsi. Adesso dà una mano al calcio da dietro la scrivania. Come? «Porto la mia esperienza e la passione verso uno sport bellissimo. Il più bello. Dobbiamo proteggerlo, renderlo avvincente». Con Milan-Napoli in programma per sabato, il pensiero corre ai duelli degli anni ’80: «Che battaglie con Maradona, vincere era un’impresa: oltre a Diego, c’erano Careca, Giordano, Ferrara… Ma anche noi avevamo tanti campioni e forse eravamo più squadra». I milanisti e tutti gli sportivi non hanno dimenticato le sue imprese: «Ci divertivamo. Sempre. Non solo in campo, ma anche durante la settimana. Ogni allenamento era una festa. Era questo il nostro segreto. Certo, parliamo di un Milan stellare: in ogni ruolo un campione. Ma non si vince così tanto se non c’è armonia. E dico un’altra cosa: il mio rimpianto più grande per il ritiro precoce è che mi ha privato, ci ha privato, di nuovi trionfi. Il nostro ciclo sarebbe durato altri 3­4 anni. In Italia e nel mondo. In confronto la striscia del Barcellona di Messi sarebbe poca cosa».
MILAN, MILANO E BERLUSCONI – Il Milan è fuori dall’Europa da anni… «Sa che cosa mi mette più tristezza? Vedere San Siro mezzo vuoto. Una cosa inconcepibile ai miei tempi. Era una bolgia contro il Napoli, ma pure se c’era l’Empoli. E le cose non vanno meglio negli altri stadi italiani, quasi tutti rimasti agli Anni 90. Al Milan mancano i grandi giocatori, ma pure una struttura moderna». Milano spera nei soldi dei cinesi per tornare in alto. «Non posso pensare ai cinesi padroni di Inter e Milan, due società così gloriose devono restare agli italiani. Non è solo una questione di fascino e storia, di Moratti o Berlusconi. C’è anche la passione: non ha prezzo. No, il Milan ai cinesi proprio non mi va giù». Ha sentito Silvio Berlusconi di recente? «L’ho chiamato per i suoi 80 anni, era un po’ preoccupato perché doveva andare negli Usa per l’operazione al cuore. Il Milan del presidente Berlusconi ha fatto la storia del calcio, gli sarò sempre grato di avermi dato la possibilità di far parte di quella squadra».
EREDI E RICORDIIbrahimovic è forse quello che si avvicina più a lei? «Sì, potrei definirlo il mio erede: è più forte fisicamente, io lo ero di più col pensiero e anche tecnicamente. E poi secondo me ha sbagliato a cambiare così tante squadre. Conta pure il cuore, non solo il portafogli». Forse è difficile chiedere a un padre quale sia il figlio più bello. Lei saprebbe scegliere tra i gol che ha segnato? «I milanisti sono legati a quello della semifinale di Coppa Campioni contro il Real Madrid nel 1989 al Bernabeu (la Uefa diede autorete del portiere Buyo ndr), o alla quaterna fatta al Goteborg nel 1992. Gli olandesi al tiro al volo contro l’Urss all’Europeo, ma lì sono stato fortunato: il tiro poteva finire in tribuna. Dico la rovesciata in Ajax-­Den Bosch: cercata e trovata».