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2015

Trovami un modo semplice per uscirne

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1998-1999, Venezia – Bari 2-1: segna Tuta e succede il finimondo

Il giorno in cui avrebbe segnato un gol destinato a condannarlo, Moacir Bastos si alzò intorno alle 8 e 30 del mattino per andare a fare colazione con il resto della squadra. Appena sveglio Moacir – che ormai nessuno da anni chiamava più col suo nome di battesimo – scostò le tende della sua camera d’albergo e dette un’occhiata fuori dalla finestra: davanti a sé si parava la coltre di nebbia tipica di Venezia nei giorni invernali, fuori avrebbe trovato il solito freddo umido che non lo aveva mai abbandonato dagli ultimi giorni di ottobre del 1998, quando aveva messo piede per la prima volta in una delle città più belle del mondo. Moacir si immalinconì un po’ ripensando al suo Brasile, veniva dallo Stato di San Paolo e lì il 24 gennaio la temperatura sfiorava i venti gradi quando le cose andavano male. A Venezia quel giorno i gradi erano addirittura due e di uscire senza cappello e guanti proprio non se ne parlava. Terminata la colazione e tutto il rito che faceva da contorno alle mattine in cui si doveva giocare una partita, Moacir salì di nuovo in camera per prendere la sua roba e tornare con i compagni, assieme ai quali quel giorno avrebbe affrontato il Bari. I giornali, che lui non leggeva dato che parlava solo portoghese, dicevano che si trattasse di uno scontro salvezza, ma Moacir non ci fece troppo caso e visse le ore prima della gara come se avesse dovuto giocare una normale partita di Serie A.

LE DUE SQUADRE – Quel 24 gennaio 1999 il Venezia si trovava in una zona di classifica non troppo tranquilla. Tornato nella massima serie dopo trentadue anni di assenza, il club di Maurizio Zamparini arrivava alla prima giornata di ritorno avendo messo a referto solo quindici punti, troppi pochi per poter stazionare in zona salvezza, e infatti Sampdoria e Vicenza accompagnavano i lagunari al terzultimo posto, con dietro l’Empoli a quota quattordici lunghezze e la Salernitana a tredici. Il Bari – che a Venezia si era presentato in ritiro già il giorno prima – veniva da un girone d’andata a dir poco esaltante, venticinque punti in diciassette match e addirittura un uno a uno a Torino contro la Juventus nell’ultima trasferta disputata. Quel pomeriggio ovviamente i punti valevano doppio, nel periodo decisivo della stagione il Bari voleva mettere fieno in cascina per salvarsi il prima possibile, il Venezia invece pensava più che altro a vender cara la pelle e a tirarsi fuori prima possibile dalla melma della zona retrocessione. Walter Alfredo Amato Lenin Novellino all’epoca era il tecnico degli arancioneroverdi ma già si parlava di esonero da parte del suo presidenti, uno che era noto nell’ambiente per la sua fama di mangia-allenatori, nonostante lo stesso novellino riscontrasse particolari simpatie nella dirigenza veneziana. Insomma, Venezia – Bari era una partita da vincere per entrambe. O meglio, una partita in cui far punti sarebbe stato vitale.

BATTELLO – Il battello si avvicinava sempre più allo Stadio Pier Luigi Penzo e Moacir non poté fare a meno di pensare a quanto fosse bizzarro dover prendere una nave per andare a giocare a calcio nell’impianto della propria città. Venezia però è così, prendere o lasciare, la macchina e i servizi pubblici sono un lontano ricordo, così come le trasferte in pullman nelle terre interne del Brasile. Proprio in Brasile era cresciuto anche Novellino, che non aveva difficoltà a parlare coi due brasiliani del Venezia – oltre a Moacir c’era anche il difensore Fabio Bilica – e anche quel giorno, come ormai accadeva da troppo tempo, comunicò a Moacir che non avrebbe fatto parte dell’attacco titolare. Reduce da un infortunio l’attaccante brasiliano aveva giocato l’ultima volta il 13 dicembre col Piacenza quando da subentrato aveva dato poco o nulla alla causa per un mesto zero a zero. Quattro giorni prima del match col Bari il Venezia aveva battuto in rimonta un Empoli che credeva ancora nella salvezza: da zero a due prima Valtolina e poi una doppietta di Maniero avevano fatto rialzare la testa ai veneti e avevano fatto credere i tifosi nella miracolosa salvezza, per questo Novellino non se la sentiva di cambiare la formazione. Accanto al solito Maniero avrebbe giocato Alvaro Recoba, mancino magico in prestito dall’Inter, mentre il ghanese Ahinful avrebbe dovuto accontentarsi della tribuna visto che era evidentemente troppo più scarso degli altri.

CHIUDO GLI OCCHI E TI PENZO – Arrivato negli spogliatoi Moacir trovò appesa al suo posto la solita maglia numero 29. Sopra il numero però non c’è scritto né Moacir né Bastos, per un brasiliano è prassi avere un soprannome. Tuta, così recitava la maglietta. Tuta è anche un nomignolo buffo perché in italiano è una parola di senso compiuto ma vattelappesca cosa possa significare in Brasile. Comunque, indossata la divisa ufficiale del Venezia – quella sì che era una bella cosa, pensò, una maglia nera con qualche ricamo arancione e verde, un bel tocco di classe per una città di classe come Venezia – si mise anche il giaccone e i pantaloni lunghi e uscì con i compagni per andare a sedersi in panchina. Ovviamente senza parlare una parola di italiano. Dal suo arrivo in Serie A Tuta aveva messo a segno solo un gol, ma che gol: una rete al volo alla Lazio a metà novembre che regalò la prima vittoria in campionato ai Leoni alati (fu 2-0, il raddoppio lo marcò Ciccio Pedone, uno dei fedelissimi di mister Novellino). Poi, molta panchina e molta tribuna, nulla più.

CRONACA DI UN PAREGGIO ANNUNCIATO – La partita iniziò in maniera veemente e dopo cinque minuti l’attaccante del Bari Osmanovski aveva già impensierito due volte Taibi con due tiri da lontano. All’ottavo però la parabola perfetta disegnata da Recoba da calcio d’angolo impattò nella fronte di Pippo Maniero prima di entrare in rete alle spalle di Mancini, uno a zero per il Venezia e grande esultanza di tutti i componenti della squadra, panchina compresa. Il primo tempo continuò su buoni ritmi senza altre occasioni da gol mentre Moacir Bastos detto Tuta assisteva da bordocampo consapevole con con una coppia Maniero – Recoba così in forma, Novellino difficilmente gli avrebbe dato una chance. Il risultato di vantaggio per il Venezia venne vanificato una dormita difensiva cinque minuti dopo il ritorno in campo dagli spogliatoi: cross di Bressan da sinistra, linea a quattro del Venezia completamente immobile con De Ascentis pronto a sbucare alle spalle di Brioschi e a sorprendere col piatto sinistro Taibi, uno a uno e palla al centro. Dagli altri campi le notizie in arrivo erano confortanti, solo la Salernitana era in vantaggio, poi le altre pretendenti alla salvezza stavano tutte pareggiando o perdendo, come nel caso del Perugia a Torino o del Piacenza a Roma. Venezia – Bari ormai non presentava più velleità da incontro spettacolo quando a dodici dalla fine Tuta si tolse la tuta – strano scherzo linguistico – e il giaccone e entrò in campo al posto di Recoba, ormai a corto di energie. In quel momento, nonostante fosse palese a tutti che le squadre stessero giocando per un comodo pari, cambiò la storia di una partita e, nel caso di Tuta, di una vita.

NON DOVEVI, TUTA, NON DOVEVI – Al novantesimo il signor Racalbuto della sezione di Gallarate fischiò una punizione da sinistra per il Venezia. La batté Volpi, che scodellò in area un pallone innocuo sul quale si gettò con decisione proprio Tuta. La palla sbatté quasi sulla nuca del brasiliano, schiacciò in terra e si insaccò in gol dopo un bacetto al palo. Gol di Tuta, due a uno Venezia. E allora Tuta si mise a esultare, scatenò tutta la sua frustrazione e andò sotto i tifosi, ma si accorse ben presto che con lui c’erano solo il connazionale Bilica e un massaggiatore. Guardandosi attorno ebbe come l’impressione di aver combinato una catastrofe. Maniero gli dette una pacca su una spalla, Pedone gli batté il cinque ma anche in panchina era scesa una coltre di imbarazzo. Alcuni suoi compagni di squadra si misero le mani nei capelli e Tuta continuava a non capire. Aveva segnato, come mai nessuno si congratulava con lui? Era mai possibile essere tristi dopo aver fatto un gol decisivo al 90′, per di più in uno scontro che per la salvezza valeva come l’oro? La risposta era affermativa, purtroppo per lui. E quando Racalbuto sancì la fine dell’incontro anche Spinesi e De Rosa, che avrebbero dovuto essere arrabbiati per la marcatura saltata e non perché Tuta aveva fatto bene il suo lavoro di punta, si scagliarono contro l’attaccante brasiliano e proprio De Rosa gli dette un buffetto nel tunnel degli spogliatoi, come fanno i bulletti nel cortile della scuola. Tuta non avrebbe dovuto segnare quel gol, paradossalmente sarebbe stato meglio un uno a uno. Nessuno lo ammetteva, anche se Tuta dopo la partita disse esplicitamente: «Maniero mi ha detto che non dovevo segnare, era meglio l’1-1». Nel succitato tunnel solo l’intervento del quarto uomo scongiurò la rissa tra Tuta e il resto del mondo, così come nella zona antidoping i dirigenti delle due squadre dovettero separare i giocatori del Bari da quello del Venezia che veniva pesantemente insultato, mentre Moacir sorridente pensava di aver beffato il mondo intero e non si era ancora accorto che aveva detto addio ai suoi sogni di permanenza in un campionato ostile, omertoso e meschino come la Serie A. Maniero e Zamparini, prima ancora che intervenisse la Federcalcio, addussero tutto l’ambaradan a incomprensioni linguistiche con il lusofono Tuta. Per inciso Moacir Bastos giocò sempre meno fino a fine anno e ripartì verso il Brasile e poi in Corea, trovò il suo modo per uscire indenne da una partita che aveva deciso con un colpo di testa che non doveva fare. Il Venezia poi si salvò e la procura giudicò tutto regolare quello che avvenne quel pomeriggio al Penzo. L’unica vittima fu Tuta, che inconsapevolmente scrisse un pezzetto di storia in un tetro pomeriggio veneziano altrimenti avvolto dalla nebbia e dalla monotonia.