Sinisa Mihajlovic, il Torino e un copione già visto - Calcio News 24
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Sinisa Mihajlovic, il Torino e un copione già visto

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Sinisa Mihajlovic rischia di rovinare quanto di buono fatto nei primi mesi al Torino. La bilancia tra colpe e meriti del serbo però pende un po’ troppo verso gli errori: analizziamo la situazione in casa granata

In un calcio come quello attuale, in cui l’appiattimento culturale è notevole, basta poco per emergere e diventare “romantici“. Una frase qua, un gesto là, una dichiarazione fuori dagli schemi: spesso serve questo per assurgere al ruolo di tipi e non rimanere personaggi. Sinisa Mihajlovic, volente o nolente, ha saputo sfruttare questa situazione e volgerla a suo favore, con quel pizzico di retorica che non guasta mai. Va da sé che il suo ruolo di allenatore in una squadra come il Torino lo ha aiutato tanto. Il Toro ha una tradizione che farebbe impallidire chiunque, la sponda granata è uno dei pochi posti in cui un tifoso o un giocatore non solo può vivere pensando al passato, ma deve farlo. Ogni centimetro trasuda storia ed è impossibile non farci caso. Queste premesse sembravano l’ideale per il trasferimento di Mihajlovic al Torino la scorsa estate, ma i risultati in Serie A sono lì a dare un quadro impietoso del lavoro del serbo: Toro fuori dalla zona europea, squadra giù di morale, tifosi immusoniti, solite bufere contro il presidente Cairo. Quando le cose vanno male dare la colpa all’allenatore è la cosa più facile da fare, ormai lo sanno anche i sassi. E però a Torino la bilancia tra meriti e colpe di Miha pende, e parecchio, dalla parte degli sbagli dell’allenatore. Sì perché Mihajlovic corre il rischio di diventare un “sopravvalutato sottovalutato“, e non è uno scherzo: da anni è alla ricerca di una sua dimensione, riesce a farsi comprare giocatori su giocatori ma non ottiene mai i risultati sperati. Vero è che incappa in dirigenze tutt’altro che irreprensibili, ma ci mette del suo. E quindi quella favola iniziata con citazioni importanti in conferenza stampa e scene da film di Oliver Stone, diventa nella maggior parte dei casi un mesto posto a metà classifica o un esonero o comunque un mezzo fallimento.

Sinisa Mihajlovic: sopravvalutato/sottovalutato

Il Torino ha in rosa il miglior centravanti italiano da dieci anni a questa parte (Belotti, se non fosse chiaro), ha un parco attaccanti almeno da sesto posto, ha dei centrocampisti magari non espertissimi ma comunque di grande prospettiva, ha un portiere che fino all’altro ieri giocava Champions e Mondiale, ha terzini da Nazionale, eppure non carbura. Troppo facile trovare l’alibi della difesa, anche se – senza offesa – mettere Carlao e Moretti tra Hart e Benassi un po’ stona. Un allenatore di prima fascia riuscirebbe a trovare la quadratura del cerchio anche con una retroguardia del genere, ma è proprio qui che arrivano le grandi colpe di Mihajlovic. Non sono tattiche o di campo, anche se nel derby l’azzardo delle quattro punte è stato bocciato clamorosamente dal signor Higuain, ma comportamentali. Miha non sembra saper gestire il materiale umano a disposizione. Suso aveva paura di lui a Milanello, i giocatori spesso sono intimoriti e non sembrano liberi di fare quanto richiesto sul terreno di gioco. Il tutto è dovuto a questa presenza minacciosa di Mihajlovic, che però si sgonfia in certe circostanze: ha senso criticare Baselli perché “non ha le palle” e poi non fare in ventitré giornate una scaletta dei rigoristi? Ha senso presentarsi in conferenza stampa con i magazzinieri per esaltare il cuore Toro e poi, alla prima occasione buona, lapidare un proprio giocatore davanti a un microfono anziché nello spogliatoio? Da queste piccolezze, che poi tanto piccolezze non sono, dovrebbe ripartire il lavoro del tecnico serbo. Perché adesso agli occhi di tutta Italia passa da sottovalutato, da quello che non è stato accontentato dalla dirigenza e quindi può fallire l’obiettivo europeo perché il calciomercato è andato male. Ma ci vuol poco a diventare sopravvalutato, così come si vuol poco a passare da personaggio a tipo. Perché non possono bastare tre mesi all’anno fatti al massimo e poi venti partite sonnecchianti, come è successo a Genova o Milano o Firenze. Partenze sprint e poi il calo, il copione non è mai cambiato. Il Torino, invece, spera in un bel plot twist.