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Romulo: «Ho realizzato il mio sogno: giocare in Italia»

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Intervista esclusiva al sito delle Ferrovie dello Stato per l’italo-brasiliano che confessa il suo amore per i viaggi, per l’Italia e per il calcio italiano.

Domenica scorsa ha deciso la partita contro il Benevento portando all’Hellas Verona la prima vittoria in questa stagione. Romulo Souza Orestes Caldeira, centrocampista italo-brasiliano, ha rilasciato un’intervista esclusiva a Luca Mattei di “FSNews” delle Ferrovie dello stato in cui ha parlato di viaggi, campo di calcio, nazionale e molto altro.

Le piace “viaggiare” a quanto pare…

«Sì, io e mia mia moglie amiamo andare in giro per il mondo e conoscere culture diverse. Sul terreno di gioco, invece, sono stato schierato in zone sempre diverse. Gioco meglio come mezzala e terzino destro, i miei ruoli preferiti. Ma sono sempre a disposizione del mister».

Che legame ha con il Belpaese?

«I miei bisnonni abitavano a Mogliano Veneto, vicino Treviso, e come tanti italiani sono scappati in Sud America a causa della guerra. Quando ho iniziato a giocare a calcio, a 14 anni, la società in cui militavo mi ha detto che c’era la possibilità di avere la doppia cittadinanza. Per me era una prospettiva meravigliosa, capace di aprire orizzonti nuovi: in Brasile la vita era difficile, in povertà, e l’Italia era il massimo che si potesse sognare. Quando poi mi sono trasferito ho conosciuto una persona che mi ha dato una mano a ottenere tutti i documenti necessari. Ho realizzato un sogno».

Avrebbe potuto far parte anche della Nazionale nel 2014, se non ci fosse stato un infortunio. Oggi l’azzurro resta un desiderio oppure è un obiettivo?

«Io continuo a sperarci. Sono stato convocato diverse volte da Prandelli, ma a causa di una pubalgia non ho potuto giocare i Mondiali. Ho preso una delle decisioni più difficili della mia vita. Avevo ancora dolori e sapevo di non poter dare il massimo. Non mi sembrava giusto togliere il posto ad altri calciatori che stavano meglio di me. Ho rinunciato in quel momento, ma di certo non per tutta la vita. Ora voglio fare bene, tornare a giocare al massimo per essere nuovamente convocato».

Come si è sentito in quel periodo di stop?

«Sono stati anni di sofferenza in cui ho fatto quattro interventi in Brasile e uno in Germania. Inizialmente pensavo che dopo pochi mesi tutto sarebbe passato. Ma non è stato così, dopo una decina di settimane avevo gli stessi dolori. Dopo il terzo tentativo ho iniziato a pensare che non ce l’avrei fatta, non vedevo vie d’uscita perché ero sempre punto e a capo. Mi sentivo in colpa con la mia società, perché loro mi stavano pagando e io non potevo neanche allenarmi. Era davvero una situazione delicata e difficile, piangevo tutti i giorni. Ma non ho smesso di crederci, cercavo di fare sempre il mio meglio. Anche con il lavoro in palestra, l’alimentazione e il riposo ero molto attento. E poi così, all’improvviso, i dolori sono scomparsi. Devo ringraziare tutti coloro che mi hanno aiutato e mi hanno dato la forza. Senza di loro non sarei potuto tornare a giocare a calcio».

Tra il 2014 e il 2015 anche un’esperienza con la Juventus

«Quei mesi sono stati davvero belli, perché abbiamo vinto lo scudetto e la Coppa Italia e siamo arrivati in finale di Champions, la mia prima volta in un contesto europeo. A Torino ho vissuto momenti fantastici che non dimenticherò mai. Ho potuto giocare insieme a calciatori come Pirlo, Buffon, Marchisio e Tevez, che prima vedevo solo alla PlayStation. Anche loro mi hanno aiutato tantissimo. Nonostante erano già dei campioni di cui si parlava molto, erano sempre semplici e umili, mi hanno aiutato con le loro parole raccontandomi le proprie esperienze. Mi sentivo davvero bene, a mio agio. Peccato non aver potuto giocare tanto a causa della pubalgia. Però è davvero un ambiente fantastico, in cui tutti pensano solo a vincere partita dopo partita».

Dopo una stagione tra i cadetti, cosa ha provato nel riabbracciare il massimo campionato?

«La Serie B è difficile, per assurdo quasi più della A, soprattutto se sei una delle favorite. Giochi in campi non semplici, dove gli avversari danno sempre qualcosa in più quando giocano contro di te, con il sostegno dei loro tifosi. Lo scorso anno siamo stati bravi e ci è andata bene, siamo riusciti ad ottenere la promozione diretta e a tornare nel campionato dove il Verona merita di stare, per la tifoseria, per la città. Mi sento orgoglioso di far parte della storia di questa squadra, di averla portata di nuovo in A. Ma adesso dobbiamo impegnarci, fare di tutto e di più per restarci».

Parliamo della sua vita privata. Cosa le piace fare nel tempo libero?

«Stare soprattutto con mia moglie Pamela, facciamo tutto insieme. Ci piace viaggiare, quando abbiamo due o tre giorni liberi, anche se ciò non accade quasi mai. Ci piace conoscere non solo le città, ma le culture, imparare la storia e le lingue. Cerco di studiare in ogni occasione, perché prima o poi tornerà sicuramente utile. Per il resto sono una persona molto tranquilla. Sto con mia moglie e il nostro cagnolino Snoopy, che ha quattro anni e viaggia sempre con noi».

Su Instagram c’è una foto in cui è a cavallo.

«Sì, ho imparato da piccolo, perché il mio papà mi portava sempre in campagna a cavalcare e a bere il tè, una sorta di tradizione nel sud del Brasile. Ogni volta che torno a casa ci vado con mio padre e mio fratello. Sto cercando anche in Italia un posto vicino Verona dove fare equitazione».

Che rapporto ha con i social network?

«Mi sono iscritto quasi un anno fa, mi piacciono, anche se non so usarli ancora benissimo. C’è una persona che mi segue per gestirli in modo professionale e allo stesso tempo avere un rapporto più intimo con i tifosi».

 

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