2013

Il caso – Confucio, Han Feizi, Young e De Ceglie

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La meritocrazia in Italia non è mai esistita nè mai esisterà, figuriamoci se può albergare in una squadra di calcio, per quanto importante e blasonata essa sia. Alcuni fanno risalire il concetto (non la parola “merito”) a Confucio o ad un altro autore cinese, Han Feizi, e all’applicazione nel secondo secolo a.C., durante la dinastia Han, di un metodo di esami per valutare il “merito” (per l’appunto) dei funzionari nell’apparato burocratico.

La parola “meritocrazia” è comunque comparsa per la prima volta mezzo secolo fa in un libro di Michael Young, “The Rise of the Meritocracy“. Non è questa la sede per dibattere del contenuto del testo né dell’effettiva attuazione di questo criterio (definiamolo così) nella storia dell’umanità ma è un fatto probabile che sia Confucio, sia Han Feizi che il più contemporaneo Young, avrebbero preso Paolo De Ceglie a calci nel sedere e già da un discreto pezzo.

Perché? Perché un terzino più scarso del valdostano in bianconero stentiamo a ricordarlo. Meglio, di esempi, anche recenti, ce ne sono: da Traorè, oggetto misterioso rifilato a Marotta dal sofisticato Wenger, a Marco Motta, inspiegabilmente acquistato due mercati estivi or sono, gli x-files non mancano ma rispetto al “caso” De Ceglie, esiste una differenza fondamentale. Tanto Traorè quanto Motta, dopo le mediocri prestazioni offerte, sono stati allegramente giubilati. Paolino invece, continua a soggiornare pacifico in un ventre di vacca nonostante la produzione ininterrotta di cappellate. Qualcuno che ci illumini sui motivi delle continue, indiscutibili, scontate riconferme? Eppure il nostro gode, non si sa come, di un discreto mercato.

Il Napoli ad esempio, qualche tempo fa, lo avrebbe preso ad occhi chiusi; forse la Lazio lo vorrebbe ancora. Insomma, un modo per liberarsene, guadagnandoci anche qualche spiccio c’era, c’è e ci sarebbe nonostante il fatto che più passi il tempo e più De Ceglie peggiori. Dopo l’ultimo pastrocchio sfornato contro la Lazio, siamo alle soglie della fermentazione con conseguente metamorfosi in aceto ma evidentemente in Corso Galileo Ferraris hanno gusti particolari.

A conti fatti, De Ceglie, uno che crossa senza mai alzare la testa e si perde l’avversario nella propria area, non serve ad una mazza; anzi, è una sciagura bella e buona, l’ennesimo, ultimo lascito mefistofelico del terribile 2006.

Se i tifosi juventini debbono sopportarselo ancora per molto, che almeno gli spieghino il perché, così, tanto per permettergli di mettersi l’anima in pace e rassegnarsi serenamente. Bravo ed utile non lo è: resta l’ipotesi più probabile, quella che fa a cazzotti, e da secoli, con il criterio della meritocrazia. Noi non pronunciamo il termine, ma siamo in Italia… Capito, o serve una raccomandazione?

“Meglio un diamante con un difetto che un sasso perfetto”.

(Confucio)

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