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Andreazzoli si racconta: «Finale persa con la Roma? Mi diedero dell’inadeguato, qualcuno anche del laziale. Luis Enrique, una persona stupenda. Su Conte…»

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Andreazzoli parla alla Gazzetta: «Finale persa con la Roma? Mi diedero del laziale. Luis Enrique, una persona stupenda. Su Conte…»

Si dice che nel calcio la felicità si misuri in centimetri. Quelli che separano un palo da un gol, per esempio. Lo sa bene Aurelio Andreazzoli, ex allenatore che nella vita è stato tantissime cose, ma che a Roma per anni è stato considerato solo “quello della finale persa”. Un periodo difficile, segnato dalle critiche e dall’etichetta indelebile di quella sconfitta nel derby di Coppa Italia del 2013. Ecco le sue parole su La Gazzetta dello Sport.

LA FINALE PERSA E I FISCHI DI ROMA «Mi diedero dell’inadeguato, qualcuno anche del laziale. Fu un periodo brutto, i fischi della Sud mi hanno fatto male. Una brutta macchia, indelebile per i tifosi. Cancellò tutto il lavoro fatto fino a quel momento, che era stato molto buono. Non se lo ricorda nessuno, però. L’allenatore in questo è un uomo solo. Perde la squadra, ma il giudizio ricade su chi era in panchina. Credo che quella partita l’abbiano persa più Totti, De Rossi & Co. Non Andreazzoli. O per lo meno, non soltanto. L’anno dopo lei scelse di restare nello staff di Rudi Garcia. Alla presentazione della squadra fu il primo ad uscire, ricoperto dai fischi. Mi hanno fatto male. Anche perché fischiavano solo me, come fossi l’unico colpevole. Me li sono presi a testa alta, sono passato oltre. Ma è incredibile pensare quanto ci si dimentichi in fretta del lavoro fatto in precedenza. Era stato buono, una media di 1,8 punti a partita e nessuno se lo ricorda».
LA PIAZZA ROMANA «Credo manchi l’oggettività nel pesare il lavoro. E gli elogi sono peggio delle critiche. Vinci due partite e ti stendono i tappeti rossi: ti invitano a cena, ti chiama il politico, perdi la misura. Ci hanno provato anche con me, non mi sono mai fatto coinvolgere. Poi perdi e improvvisamente vali zero».
IL “SE” DI QUELLA FINALE «So che sarei stato riconfermato e avrei avuto la possibilità di giocarmi le mie chance, ma non ci penso più. Sono felice del percorso fatto».
LUIS ENRIQUE «Luis Enrique, una persona stupenda. Mi ha insegnato a tenere sempre la schiena dritta: lasciò un contratto per andare a studiare calcio. È un uomo incredibile quando parla alla mamma di sua figlia Xana, quando parla ai ragazzi in spogliatoio, per l’umanità e il rispetto con cui tratta tutti. Lo vorrei abbracciare e mi piacerebbe molto andarlo a trovare a Parigi. Dopo aver annunciato alla squadra che avrebbe lasciato l’incarico, andammo a pedalare al parco del Veio. Io avevo comprato un faro nuovo e mi sentivo molto soddisfatto del mio acquisto… lui iniziò a pedalare e mi accorsi che ne aveva uno molto più potente. Scoppiammo a ridere quando glielo raccontai. Due giorni dopo mi arrivò quello stesso faro a casa. Lo uso ancora. È un gesto semplice che descrive che persona è Luis».
L’ESPERIENZA A EMPOLI E IL SOPRANNOME “NONNO” «A Empoli ho passato anni bellissimi. Non mi ricordo come nacque. Bennacer prima di andare al Milan mi mandò un messaggio molto bello chiamandomi così, non so se era la prima volta. L’ho sempre trovato un soprannome carino. Sono un buono e credo di aver aiutato tanti ragazzi a crescere. Asllani, Ricci, Baldanzi e compagnia».
L’INCONTRO CON CONTE «Partì da Torino alle sei di mattina, per evitare il traffico del primo maggio. Rimase tre giorni con noi, pranzando con la squadra come fosse uno dello staff. Ci eravamo già incontrati a Coverciano: lui aveva preso una stanza e mi aveva invitato a fare due chiacchiere. Io, lui e i nostri figli. Condividemmo schemi, idee e valori».
IL CALCIO DI OGGI E IL FUTURO «Tornerei per portare la mia visione. Quello che vedo oggi non mi piace, è noioso. Piuttosto che guardare la Serie A, metto il rugby. Nel calcio, ormai, al minimo tocco si va per terra. Lo trovo un mondo fatto di cattive abitudini e modi di fare diseducativi. Qualcuno mi ha deluso? Molte persone. Ma non lo voglio dire qui, preferisco prima farglielo sapere di persona. Non sono uno che si nasconde».

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