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Riganò si racconta: «Idolo a Firenze? Sono una persona normale. L’area di rigore è sempre stato il mio habitat. Il mio grande rimpianto…»

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Christian Riganò si racconta alla Gazzetta: «Idolo a Firenze? Sono una persona normale. L’area di rigore il mio habitat. Il mio rimpianto…»

“Dio perdona, Riga-no”. Questo striscione ha sventolato per anni in Curva Fiesole, celebrando Christian Riganò, il centravanti che ha risollevato la Fiorentina dal baratro della C2 dopo il fallimento. Arrivato nel 2002 in una città depressa sportivamente, Riganò ha risposto con 30 gol al primo anno, diventando l’eroe della risalita. Oggi, appesi gli scarpini al chiodo, vive ancora a Firenze e ha ripreso il mestiere che faceva prima di diventare calciatore: il muratore. Ecco la sua intervista a La Gazzetta dello Sport.


IDOLO A FIRENZE «Macché, sono una persona normale. Vado in cantiere della mattina alla sera. In città mi vogliono bene, questo sì. Sono contento di avergli dato qualcosa. Mi fermano perché mi sono sempre comportato bene, mica perché ero un campione. E questa è la cosa che mi rende più felice».
LA GAVETTA E I GOL IN TUTTE LE CATEGORIE «Ai miei tempi non era facile, bisognava sgomitare parecchio. Tanti mi dicono che sono arrivato tardi… io rispondo che sono fortunato ad avercela fatta. Sa quanti sono bravi ma si perdono nelle serie minori? Soprattutto nella mia epoca. Oggi fai 5 gol e già vali 20 milioni. Io ho giocato e segnato in tutte le categorie, mi manca solo la terza. Ma me ne frego dei record, servono solo a ricordare da dove arrivo e che percorso è stato. Mi sono sempre divertito, pure nei dilettanti. E non me la sono mai tirata».
IL RIMPIANTO «Sono uno che non si guarda mai indietro, non mi piace. Ma direi che mi dispiace non aver strappato una convocazione in Nazionale. Sarebbe stata la conclusione di un viaggio bellissimo. Alla fine del 2006 l’Italia giocò in amichevole nel periodo in cui ero capocannoniere in Serie A col Messina. Ci ho sperato, ma il ct Donadoni non mi ha chiamato. Pazienza. Quando giocavo io un attaccante per arrivare in Nazionale doveva sperare in un’epidemia… si sarebbero dovuti ammalare tutti. Davanti a me c’erano Del Piero, Totti, Toni, Di Natale, Iaquinta, Inzaghi. E qualcuno rimaneva anche a casa».
HA PAGATO L’ESSERE VERO «Non lo so, ma per me è un vanto. Non mi sono mai piegato davanti a niente e nessuno. Sono uno partito dal niente, senza nascondermi. Pensi che fumavo davanti agli allenatori… Una volta, in ritiro con la Fiorentina, Prandelli mi vide mentre tiravo due boccate: “Quante sigarette fumi?”. “Poche”. “E fumane di meno”. Ma è finita lì. Anche con i presidenti sono stato sempre schietto e diretto, non ho mai avuto problemi con nessuno».
L’AREA DI RIGORE «L’area di rigore è sempre stato il mio habitat. Non facevo prigionieri. Da lì viene il fatto di non perdonare. Quando la palla arrivava negli ultimi sedici metri c’era un’attrazione chimica, innaturale. A Firenze, come a Taranto e a Messina. E pensare che a Lipari avevo iniziato giocando in difesa. Avevo vent’anni ed eravamo in difficoltà in attacco: qualcuno era andato via, altri non c’erano per lavoro. Il centravanti titolare si è fatto male e io sono andato a sostituirlo. Mi sono divertito tantissimo, l’ho buttata dentro subito e non mi hanno più tolto. Meno male, direi».
L’ARRIVO A FIRENZE «Io venivo da una stagione a Taranto in cui avevo segnato tanto, volevo salire di categoria ma la chiamata della Fiorentina fu speciale. Mi cercò il presidente Della Valle e mi fece capire che l’obiettivo era chiaro: tornare presto in alto. E così è stato. In realtà all’inizio mi arrivò una chiamata di Giovanni Galli, pensavo fosse uno scherzo e riattaccai. Invece mi volevano per davvero. In città c’era un clima di depressione sportiva. Una squadra con una storia simile relegata ai confini del calcio, fallita per due spiccioli. Il primo anno feci 30 gol e da lì è ripartito tutto. Stagioni stupende, i fiorentini mi hanno adottato. Ora vivo ancora qui e ogni tanto mi escono frasi in dialetto toscano. E io vengo da Lipari, pensi un po’».
MESSINA E LA LIGA «Ho vissuto emozioni bellissime, ho fatto 19 reti in Serie A e per un periodo sono stato capocannoniere del campionato. Quei gol mi hanno portato fino in Liga. Nel 2007 mi prese il Levante. Sfidammo il Barcellona di Eto’o, Messi, Xavi e Iniesta. Leo era giovane, ma già fortissimo. Segnò anche in quella partita. Io portai a casa la maglia di Henry, una reliquia. Mi rattrista non aver giocato al Bernabeu, sarebbe stata una bella soddisfazione»
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