Hanno Detto
Asprilla: «Il mio arrivo a Parma, le donne, i soldi, Pablo Escobar, Maldini e quando a Scala dissi che non ero Forrest Gump: vi racconto la mia vita»
Asprilla si racconta: «Il mio arrivo a Parma, le donne, i soldi, Pablo Escobar, Maldini e quando a Scala dissi che…». L’intervista
Faustino Asprilla era un attaccante molto divertente. Colombiano, a Parma ha lasciato un segno, anche fuori dal campo. Oggi su La Gazzetta dello Sport rievoca quei giorni dello scorso secolo, rimasti bene impressi nella sua mente.
L’ARRIVO NEL 1992 – «Parma mi conquistò subito. Abitavo in un appartamento nel centro della città. Ero solo, perché mia moglie Catalina era rimasta in Colombia. Non sapevo cucinare, mi facevo delle bistecche che puntualmente bruciavo. Poi i miei compagni ebbero pietà e cominciarono a portarmi fuori a mangiare. Osio e Apolloni diventarono le mie guardie del corpo. Per me erano come fratelli».
IL MATRIMIONIO NAUFRAGATO – «Fu un errore di gioventù. Io non sono fatto per la fedeltà, per la vita di coppia. Mi piacciono le donne, appena ne vedo uno, le corro dietro. É così anche adesso che non sono più un ragazzino. A quel tempo pensavo al calcio, a divertirmi, ai soldi».
PABLO ESCOBAR APPROVO’ LA CESSIONE AL PARMA – «Così scrissero, ma io non ne ho mai saputo nulla. Di sicuro Escobar aveva a cuore il Nacional Medellin e all’epoca non si faceva nulla senza il suo consenso».
I PRIMI ACQUISTI IN ITALIA – «Cento rubinetti. Li andai ad acquistare in un centro commerciale a Parma e li spedii in Colombia. Erano dorati, meravigliosi. Gli amici che li ricevettero credettero che fossero d’oro puro. E io, così, mi feci la fama di un ragazzo che in pochissimo tempo era diventato ricco».
L’IMPATTO CON IL CALCIO ITALIANO – «Fantastico. Però quanto picchiavano i difensori! Io, per fare gol, non dovevo mica superare le difese di oggi: allora c’erano Baresi, Vierchowod, Maldini e compagnia bella… Il calcio era una cosa seria…».
PROBLEMI CON SCALA – «Più di uno. Lui parlava di tattica e io non capivo nulla. Avevo bisogno del pallone per divertirmi, per correre, per superare l’avversario. Figuratevi se mi importava del 3-5-2 o delle marcature a scalare… Un giorno Scala mi chiese di correre per mezzora sui bastioni della Cittadella. Gli lanciai contro le scarpe e gli dissi: “Non sono mica Forrest Gump, io faccio il calciatore”. E me ne andai dallo spogliatoio»