Faragò racconta: «Addio a calcio a 30 anni? Ecco perché»
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Paolo Faragò racconta la sua nuova vita in campagna: «Ho smesso di soffrire. Addio a calcio? Ecco perché. Avversari difficili? Ansaldi e Ljajic»

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Paolo Faragò, ex giocatore del Cagliari, tra le altre, racconta la sua nuova vita in campagna dopo il ritiro a 30 anni per i troppi infortuni

Paolo Faragò, ex centrocampista di Novara, Cagliari, Bologna, Lecce e Como, ha aperto il cuore in un’intervista a La Gazzetta dello Sport, raccontando la sua carriera, il difficile percorso tra infortuni e operazioni, e il suo nuovo capitolo nella vita agricola.

Dopo aver deciso di smettere con il calcio a soli 30 anni, Faragò ha scelto di concentrarsi sulla sua azienda agricola, dedicandosi alla coltivazione di viti e ulivi.

LA VITA IN CAMPAGNA«Ho un terreno di quattordici ettari. Con la mia azienda produco vino locale, dal Vermentino al Bovale. Negli ultimi anni ho piantato oltre millequattrocento alberi, di cui settecentocinquanta ulivi. Mi sveglio alle 4.30, salgo sul trattore e parte la giornata. Adesso la mia vita si divide tra coltivazione, potatura e raccolto».

L’ADDIO AL CALCIO«Ho subito quattordici interventi chirurgici. Assumevo farmaci e antidolorifici in continuazione. Non riuscivo neppure a fare una passeggiata, figuriamoci a sostenere gli allenamenti. Dopo ogni operazione restavo almeno per un paio di mesi in stampelle. Non c’erano altre soluzioni, dovevo fermarmi».

LA CAMPAGNA COME TERAPIA«Nel 2020 ho acquistato un terreno a pochi chilometri da Cagliari, la città in cui io e mia moglie abbiamo scelto di vivere. Dopo poco ho aperto l’azienda e mi sono dedicato alla produzione di vino. Attualmente abbiamo otto etichette: rosso, bianco, orange wine. Sto valutando anche di ampliare l’attività a olio e miele. In più, ho già piantato migliaia di alberi da frutto: melograni, noci, mandorli, pistacchi».

UNA PICCOLA AZIENDA A GESTIONE FAMILIARE«Al momento la dimensione aziendale è piccola. Mi occupo sia della parte agricola che di quella commerciale. Sono nato in Calabria e cresciuto in Piemonte, un territorio da sempre legato alla produzione vinicola. Ogni famiglia ha una piccola vigna. A novantadue anni, mia nonna si diverte ancora a fare la vendemmia».

LA SCELTA DI ALLONTANARSI DAL CALCIO«Sentivo il bisogno di staccarmi da un mondo nel quale ho vissuto per oltre vent’anni. Ci sono tante dinamiche che non apprezzo. Quello del calcio è un ambiente che ti rende nomade, non metti mai radici, sei sempre lontano dalla famiglia. Volevo restare a Cagliari e gestire in autonomia la mia quotidianità».

GLI ANNI D’ORO A NOVARA«Ho vissuto cinque anni bellissimi. Ricordo una partita incredibile contro il Bari nei quarti di finale playoff di Serie B, era la stagione 2015/2016. Vincemmo al San Nicola, finì 3-4 per noi con il gol decisivo di Galabinov nei tempi supplementari. Giocavamo in dieci per il rosso a Dickmann, è stata una vittoria pazzesca. Poi l’anno successivo sono arrivato al Cagliari».

L’INIZIO DEL CALVARIO«Ho iniziato a giocare con continuità, segnando pure qualche gol. I problemi sono cominciati nel maggio 2019. Dopo il primo infortunio ho trascorso cinque mesi di riabilitazione. Sembrava che fosse tutto superato. A ottobre, Maran mi manda in campo contro la Spal. Realizzo il 2-0 decisivo. Poi il buio».

TREDICI OPERAZIONI«Per tredici volte sono finito sotto i ferri, senza riuscire a risolvere il problema. I medici non si spiegavano come facessi a giocare. Una volta un chirurgo mi disse: “Conosci la storia del calabrone? Secondo la fisica non ha la struttura alare adatta per volare. Eppure ci riesce. La tua situazione è molto simile”. Alternavo lunghi periodi in stampelle a qualche allenamento».

LA QUATTORDICESIMA OPERAZIONE«Nel dicembre 2023 mi hanno impiantato una protesi all’anca. Da quel momento ho cominciato a stare meglio. Ma avevo già deciso di smettere, non ne potevo più».

I RICORDI PIÙ BELLI«Uno dei ricordi più belli della mia carriera, insieme a quel Bari-Novara e al gol segnato contro la Spal subito dopo il primo infortunio».

L’ULTIMA ESPERIENZA A COMO«Era la stagione di Gattuso e Longo in panchina. Ho totalizzato 17 presenze, ma non riuscivo ad aiutare la squadra come avrei dovuto. Avevo un altro anno di contratto, la società voleva cedermi. In quel momento ho capito che dovevo smettere. Provavo troppo dolore. Mi sono reso conto di non essere più il giocatore che ero prima dell’infortunio».

GLI AVVERSARI PIÙ DIFFICILI«Faccio due nomi, tutt’altro che scontati. Uno è l’ex giocatore del Torino Ansaldi: si divertiva a dribblare, sulla fascia era incontenibile. Tackle, scivolate, Ansaldi si rialzava e correva ancora più forte. L’altro è Ljajic, ti faceva venire il mal di testa».

IL FUTURO TRA VITI E FATTORIE DIDATTICHE«Voglio trascorrere una vita serena in campagna. Mi piacerebbe anche creare una fattoria didattica per bambini. Ho appena piantato decine di ulivi, spero che mio figlio possa godersi il risultato di questo lavoro. Tra viti e frutteti io ho smesso di soffrire».