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La naturalezza della Juve spettacolo

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Juventus: Pjanic e non Pogba, la scommessa 2016-17

Non si è praticamente mai parlato della Juventus di Massimiliano Allegri in termini di spettacolo. Solidità, concretezza, superiorità, consapevolezza dei propri mezzi; più ragione che istinto; intelligenza nella lettura delle situazioni rispetto a un’aggressività in tono minore della precedente gestione; capacità di giocare con il tempo anche nelle situazioni più difficili come nel corso dell’inizio della rimonta nello scorso campionato, quando non di rado riusciva a risolvere le partite nel secondo tempo, dimostrandosi capace di governare e mascherare i possibili stati d’ansia. Queste le qualità della Juve ri-nata dopo il triennio all’ultimo respiro di Antonio Conte. In più, tante valutazioni del mister ex milanista sulla coerenza assoluta tra interpreti e gioco, da tradursi in una specie di mantra perennemente proposto nelle conferenze pre e post gara: per proporre estetica, ci vogliono i giocatori tecnici. E, comunque, la tecnica va affinata sempre, è questa la via per arrivare ai risultati.

Sarebbe sbagliato eleggere Juventus-Sassuolo come prova del raggiungimento di una nuova identità. Troppo presto e forse anche tutto troppo bello in quella devastante mezzora iniziale per pensarla come una svolta già definita. Qualcosa di più è opportuno, una linea di continuità in varie partite, a cominciare dal test con il Siviglia, molto insidioso perché test d’esordio, non si è mai totalmente tranquilli quando si comincia in Champions League con l’obbligo di vincere perché s gioca in casa e lo si fa con l’avversario più duro del girone, per non parlare delle aspettative così esagerate da poter produrre anche qualche cortocircuito emotivo. E, soprattutto, ci suggerirebbe Allegri, si pretende una più puntuale gestione della partita, meno sbavature difensive e compiacimenti sotto porta, anche se viene da pensare che è difficile rimanere ragionevoli quando si esprime tanta bellezza. Probabilmente al tecnico livornese sembra più funzionale la squadra che con la Lazio ha di fatto condotto una partita molto meno brillante, raramente impetuosa, ma totalmente solida e priva di strappi (nel bene e nel male). Una Juve che ha il pregio di anestetizzare gli avversari, molto meno vivi di quanto sia stato il Sassuolo che pure aveva ricevuto colpi decisamente da k.o. Non di solo gol, per quanto stupefacenti, si manifesta la propria grandezza, in estrema sintesi, come da anni ben si sa per chi ha l’ineguagliabile risorsa di possedere il reparto arretrato meno battuto della Serie A e tra i più granitici d’Europa.

Non credo che una squadra debba mai proporsi di regalare spettacolo. Semmai, deve arrivare a viverlo come il suo habitat abituale perché gli riesce naturale. In tal senso il momentaneo 3-0 col Sassuolo mi è sembrato particolarmente significativo. Perché nel modo col quale si è ottenuto vi si legge una somma delle qualità che deve sapere mettere in campo chi ha ambizioni di grande Europa. Velocità d’esecuzione, intanto, come si è visto in molte azioni. Protagonismo individuale, talmente elevato in Higuain da avere probabilmente fugato uno dei tormentoni estivi cresciuto col passare dei giorni fino a diventare un luogo comune: il Pipita non potrà essere più quello di Napoli, impossibile che si ripeta con quelle medie realizzative. La doppietta e la qualità del suo agire è tale da generare qualche dubbio, ricordando che se lo si accostava a Lewandowski e Suarez un motivo c’era e non poteva sbiadire una volta collocato in un contesto come quello juventino.

Infine, ed è la cosa più importante, la variabilità delle posizioni, con Pjanic uomo ovunque dotato della rara sensibilità di andarsi a posizionare dove meglio può agire per lo sviluppo della manovra. Ribadisco un concetto non particolarmente popolare nei tifosi bianconeri: nella Juve 2016-17 la scommessa (uso un termine corretto, ogni mercato rappresenta un’ipotesi di lavoro) è la sostituzione di Pogba con Pjanic. Sul piano simbolico e fattuale: passare da un supereroe a un centrocampista dalla difficilissima classificazione (se non quella del suo soprannome, il pianista, che ancora si deve capire nella sua esatta dimensione semantico-calcistica). Il sospetto che si possa diventare una squadra molto più spettacolare senza uno come Paul – colui che più ha rubato gli occhi negli ultimi anni – io ce l’ho. E non lo trovo un paradosso, ma un principio magari poco appariscente ma forse molto musicale per cambiare non poco una squadra già molto forte, tutt’altro che semplice da migliorare.