2013
Viaggio nel dissesto economico dei club: Gomez e Tevez per recuperare appeal
La fuga dei talenti dai club italiani: errori di programmazione e strategia ma non tutto è da buttare
Non che il campionato italiano abbia bisogno di qualsiasi legittimazione per risiedere a pieno titolo tra i tornei più competitivi al mondo: lo dice la storia delle squadre, il loro curriculum europeo, il target dei calciatori che hanno calcato i campi nostrani. E’ altrettanto vero che determinate difficoltà strutturali verificate negli ultimi anni hanno aperto la strada ad un fenomeno inverso.
L’ESODO DEI CAMPIONI – Impossibile non pensare – in riferimento soltanto ai casi più recenti – al destino toccato ai vari Thiago Silva, Ibrahimovic, Eto’o, Pastore, Sanchez, Lavezzi, Sneijder e chi più ne ha ne metta fino anche ai giovani talenti come Verratti: le società italiane si sono arrese alle imponenti offerte dei club stranieri peraltro in grado di riconoscere ai calciatori retribuzioni decisamente più favorevoli. Le ragioni alla base? Andrebbe aperto un capitolo a parte. Quel che è certo è la inadeguatezza del sistema Italia rispetto ad altre realtà nelle quali la costruzione di stadi di proprietà – e dunque gli investimenti – ha garantito un ritorno economico notevole, il tutto sommato a modelli di merchandising invasivi anche e soprattutto in Paesi non propriamente affini ad uno sport come il calcio. Le casse estere si sono via via riempite mentre quelle italiane si sono svuotate sotto i colpi di una burocrazia inefficiente e di strategie volte soltanto a ridurre il costo del lavoro (gli stipendi) per salvare il corto margine dei profitti e non invece mirate al medio termine con investimenti sulle infrastrutture e sul capitale umano (i calciatori).
MA NON TUTTO E’ DA BUTTARE – Si è sbagliato tanto ma non tutto: le realtà virtuose all’interno del nostro panorama non mancano affatto: si va dalla politica di stabilità dell’Udinese – scoperta del talento, valorizzazione dello stesso e cessione con plusvalenza, politica stabile perché funzionante sia in termini economici che sportivi ma che non permette il definitivo salto di qualità – ai modelli Napoli e Fiorentina, dove gli investimenti sono mirati ed in continua crescita ma non si perde d’occhio il controllo dei conti. Meno lineari e allo stesso tempo più imponenti le politiche recenti di Milan ed Inter: tagli su tagli alla vecchia guardia e cessioni illustri per ripianare i bilanci e ricollocare i calendari all’Anno Zero. Le milanesi sono ripartite da capo ma i rossoneri hanno trovato subito nuova linfa da interpreti del calibro di De Sciglio ed El Shaarawy – e dalla superba operazione Balotelli – mentre l’Inter ha faticato nel rintracciare le nuove coordinate.
LA JUVE FA STORIA A SE’ – Non è casuale il mancato riferimento ai campioni d’Italia: a Torino i costosissimi investimenti richiesti su strutture e tecnologia non si sono fatti attendere e la Juventus ha costruito il suo stadio di proprietà, con i parametri economici che nel medio termine già anticipano eccellenti ritorni economici. Ma i frutti sono già visibili: i bianconeri hanno una libertà di manovra economica maggiore rispetto agli altri club e paradossalmente anche nel commettere errori. Dopo i dissesti causati dall’estate che portò a Torino Felipe Melo e Diego la società non si è persa d’animo ed ha reagito con forza, osando sotto il profilo della tenuta dei conti in cambio del sicuro ritorno futuro. L’operazione Tevez – nel complesso da oltre 40 milioni – certifica l’assunto e Mario Gomez è in procinto di trasferirsi nel campionato italiano: fuga di talenti ma anche segnali di speranza.