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Buon compleanno a… Rafa Benitez

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Rafa Benitez

Oggi Rafa Benitez compie 63 anni. Per festeggiarlo, fate questo gioco: provate a immaginare la prima cosa che vi viene in mente di lui. É molto probabile che la sua fama internazionale vi abbia conquistato ed allora diventerà automatico associarlo alle grandi imprese nelle competizioni europee, che ad un certo punto lo hanno reso uno degli allenatori più celebrati del pianeta. Con quel capolavoro che resterà inimitabile del Milan-Liverpool 3-0, 3-3 e rigori favorevoli ai Reds, il massimo della vita passare dall’umiliazione all’estasi, come indica la sua testimonianza: «E’ stata la finale più emozionante e incredibile. Puoi vincere battendo gli avversari 5-0 ma non proverai mai le stesse sensazioni che abbiamo provato noi quella notte contro il Milan dove eravamo sotto 3-0. La carica dei tifosi ci ha spinto a dare di più».

Potreste anche, però, ricordarlo per le sue esperienze in Italia. A partire da quell’incredibile anomalia – almeno con il senno di poi – di essere stato scelto dall’Inter come l’erede di Mourinho dopo l’anno del Triplete e di non vedersi bastare la conquista della Supercoppa italiana e della coppa del mondo per club, pochi mesi e via da Milano. Così vanno le cose quando si diventa incontentabili e non bastano «due titoli vinti in pochi mesi senza aver la possibilità di spendere soldi sul mercato. Resta il fatto che abbiamo vinto», ci tiene a ricordare ancora, a più di un decennio di distanza.

Oppure la vostra mente vola molto più a Sud, a Napoli, dove il mister è restato due stagioni, anche lì si è vinto Coppa Italia e Supercoppa. Un’avventura da ricordare con il sorriso, al di là di di qualche incomprensione con Aurelio De Laurentiis, esasperato dal fatto che il tecnico gli chiedesse di comprargli giocatori troppo cari. Peraltro, lo spagnolo a a Sky Sport anni dopo ha annoverato il periodo napoletano tra quelli migliori della sua carriera, dove è stato benissimo e ha avuto un rapporto con i tifosi e la società «fantastico».

Può anche essere, ed è più che lecito, che lo associate piuttosto a nient’altro che a se stesso. Nessun club, nessuna vicenda che meriti di rimanere più impressa del suo volto pacioso, del suo eloquio elegante, della raffinatezza di certe esposizioni. Un po’ come quegli intellettuali alla mano, che non hanno mai bisogno di alzare la voce né ancor più di esagerare con i paroloni perché sanno essere autorevoli per l’intelligenza delle argomentazioni e dei modi di fare. Quelle persone che se si devono scegliere un aggettivo, si finisce per definirle «squisite». Con il sospetto che anche per questo di lui si parla sempre di meno, a prescindere dalle conseguenze negative degli ultimi risultati.

Già, l’ultimo Benitez ha guidato l’Everton e non è andata bene. Una scelta difficile sin dall’inizio perché a una parte di supporters dei Toffees non stava mica bene di vedere sulla panchina della loro squadra l’uomo che quando allenava il Liverpool li aveva definiti «un piccolo club». E giù minacce, quindi.

Dura solo 19 gare, esce sconfitto da più della metà, viene esonerato e sente di avere perso quella che definisce all’atto dell’addio «una grande sfida, sia emotiva che sportiva». C’è in filigrana una riflessione molto seria sull’avvento di un tempo nuovo, nel quale il suo mestiere è forzatamente diventato sempre più precario in coincidenza con l’aumentare vertiginoso dei compensi: «La strada per il successo non è facile e, purtroppo, oggi nel calcio c’è la ricerca di risultati immediati e c’è sempre meno pazienza».

In questi giorni si parla di un possibile approdo al Leicester a partire dalla prossima stagione. Con chiunque Benitez accetterà di rimettersi in gioco, dopo un anno di pausa, si ricordi quel che disse un giorno e valuti se tutte quelle condizioni ci sono prima di mettere la firma: «A me piace competere, mi piace vincere. Allo stesso tempo sono un professore e sono bravo a lavorare con i giovani».