Borussia Dortmund, Klopp: «Sto scrivendo una favola» - Calcio News 24
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2013

Borussia Dortmund, Klopp: «Sto scrivendo una favola»

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klopp bordo campo borussia ifa

CHAMPIONS LEAGUE BORUSSIA DORTMUND KLOPP – Quella del Borussia Dortmund è una favola: un club sull’orlo del fallimento otto anni fa, ora all’apice del calcio europeo. Così ha esordito il suo tecnico, Jurgen Klopp, ai microfoni de La Gazzetta dello Sport per la rubrica ExtraTime: «Per me è iniziata 5 anni fa. Il Bayern arriva da una lunga tradizione alle spalle, i mitici anni 70, i grandi campioni. Noi nel 2008 non avevamo questi obiettivi. Volevamo ricostruire un club decaduto, giocare un buon calcio, far divertire i tifosi e far crescere tanti ragazzi in rosa. Missione compiuta? Sì. Le faccio degli esempi. Marcel Schmelzer, 25 anni. Quando nel 2008 me lo presentò il d.s. Zorc, gli dissi: “Ma è un bambino!”. “Lui può giocare sempre”, rispose Zorc. Oggi è il miglior laterale mancino. O Subotic: lo incontrai per la prima volta che aveva 17 anni e io allenavo il Mainz. Giocava nei parchi in America (dove viveva con la famiglia, scappata dalla Bosnia, ndr), non aveva club, ma era nazionale Usa Under 17. Lo portai subito in Germania. O Sahin, l’ho visto a 16 anni in Bundesliga, con un taglio di capelli orribile… L’ho ritrovato nel club nel 2008 dopo un prestito al Feyenoord, a 20 anni era un uomo, cresciuto, maturato, ha già un figlio. Dispiace quando qualcuno va via: come dei figli? Tanto. Sahin nel 2011 andò al Real, pensando, quale club migliore? È partito che era un gran giocatore… Non sempre cambiare è il miglior modo per migliorare, serve pazienza. Ma posso capire: magari qui ti annoi o altrove ti danno più soldi. Ma i soldi nel calcio non sono tutto. Sì, il denaro accresce le tue possibilità, ma non è che vince di sicuro chi spende di più. Ci sono altri modi per farlo, scoprire nuovi talenti…».

Il tecnico del club di Dortmund ha poi parlato del confronto con il Bayern Monaco: «Se si guarda alla Bundes non c’è gara a Wembley? Infatti pare assurdo, non possiamo avere 25 punti di distanza dal Bayern. Ma è solo colpa nostra. Col Bayern non c’è tutto questo divario. Abbiamo pareggiato in campionato e perso in coppa di Germania 1-0, in una pessima giornata. E non c’è confronto sul piano economico con loro? No, in questi anni abbiamo deciso che non si poteva spendere più di quanto guadagnato. È stata dura, abbiamo dovuto vendere Kagawa, uno dei migliori nel suo ruolo. Ma lui voleva andare a Manchester. Con Van Persie e Rooney, Shinji si è spostato a sinistra, ha cambiato ruolo. Abbiamo pianto abbracciati per 20 minuti quando è andato via. Götze? La verità è che Mario voleva giocare con Guardiola, posso capirlo. E altri club possono offrirgli un contratto più lungo e ricco del nostro. Anche se ci sono rimasto male quando ho saputo che andava al Bayern».

Infine, Klopp ha esposto i suoi punti di riferimento e svelato alcuni retroscena: «Sa che ho fatto vedere ai miei del Barça? La cosa più istruttiva non è come giocano, ma come celebrano i gol! Pure dopo un 600° gol in Liga ci mettono una gioia unica. È la motivazione che gli ha dato Pep. Il mio modello di coach? Wolfgang Frank, al Mainz (’95- 97 e ’98-00, ndr), quando giocavo. Con lui siamo stati uno dei primi team in Germania, e in B, a usare il 4-4-2 di Sacchi e del Milan. Le migliori cose su zona e tattica le ho apprese da Frank. Prima si doveva solo correre e inseguire l’avversario fin sotto la doccia! Con la zona ho imparato a costruire, non solo a distruggere. Frank ci avrà fatto vedere i video del Milan di Maldini, Baresi 500 mila volte… Eravamo esausti, era così noioso… Nel 2008 mi cercò l’Amburgo? Arrivai in ritardo all’appuntamento, con un sigaro, in jeans, pure bucati… Ma mi conoscevano, per 3 anni ero stato commentatore alla Zdf dei match della nazionale. Il giorno dopo lessi su SportBild che dicevano che non ero il tipo giusto, perché i giocatori mi chiamavano Kloppo e cose così. Ma i calciatori del Mainz erano stati quasi tutti miei compagni, così che non mi chiamavano “sir o mister”, ma Kloppo. E non era una mancanza di rispetto. Ma se avevano dubbi su di me io gli dissi di no, non sarei andato lì. Chiamato dal Bayern Monaco? Ero al Mainz, mi telefonò nell’inverno ’07-08, stavano guardandosi attorno per il dopo Hitzfeld e mi chiese se fossi stato disponibile. “Perché no?”, dissi e pensai ridendo “ora magari lo chiedo alla mamma”… Ma come, sono un coach di B, mi chiama il Bayern e dovrei dire di no? Alla fine presero Klinsmann».