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2014

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Crollo dell’Italia di Prandelli e crisi del sistema-calcio italiano analizzata sotto diverse angolazioni

ITALIA PRANDELLI BRASILE 2014 MONDIALI – Sì, è più grave rispetto al 2010. Se quattro anni fa il ricordo del trionfo tedesco era ancora fresco nei ricordi di tutti – e dunque si è voluto interpretare la rovinosa caduta sudafricana come il prezzo da pagare per tanta gloria – oggi non c’è controparte che tenga. Un’Italia ancora eliminata al primo turno sancisce definitivamente il tracollo del calcio italiano: nel post Germania 2006, fatta eccezione per gli Europei, abbiamo assistito ad un vero disastro. Ma di anni ne sono trascorsi oramai otto e non quattro.

GRUPPO LACERATO – Un lasso di tempo utile per tracciare un bilancio definitivo del periodo nero vissuto dal nostro giocattolo preferito: da suo estremo difensore crolla anche il sottoscritto. Crollo perché ascolto le parole del capitano e guida spirituale Gigi Buffon: “Rispetto per noi vecchie guardie sempre pronte a tirare la carretta, si deve pretendere di più dagli altri: si promettono grandi cose ma poi in campo bisogna agire”. Parole che suonano come un macigno: bocciatura delle nuove leve e spaccatura totale dello spogliatoio. In Brasile qualcosa non ha funzionato ed in tal senso – seppur a malincuore – va ammesso come le responsabilità spettino a chi quello spogliatoio lo guida. E dunque a Cesare Prandelli in persona. Buffon tra i leader cita i vari Pirlo, De Rossi, Chiellini e Barzagli ma omette palesemente il nome di Antonio Cassano: che nuova leva non è ma che si becca il 4 in pagella dai senatori dello spogliatoio. Scaricato come un peso, ritenuto un elemento divisorio e non quel collante di cui si sentiva il bisogno. Il carico da novanta lo ha poi aggiunto proprio De Rossi: “Qui non abbiamo bisogno di figurine”. Riferimenti inequivocabili.

CAOS TATTICO – La confusione non ha regnato esclusivamente in termini di compattezza del gruppo quanto anche sotto il profilo strettamente tecnico: il ct ha seguito una linea chiara durante il percorso di qualificazione salvo poi perdere la bussola in seguito a convocazioni dettate più dalle risultanze del campionato che dalla sua volontà. Venuto meno il filo della continuità si è rotto tutto: prima il 4-5-1 con l’Inghilterra, poi il disordinato e graduale inserimento degli attaccanti per (non) venire a capo della povera Costa Rica, infine il passaggio alla difesa a tre nella sfida finale con l’Uruguay. Con sostituzioni in corso d’opera che lasciano riflettere: Parolo per Balotelli segnale di resa ma, se scegli esclusivamente la linea difensiva, poi in luogo del claudicante Verratti inserisci un difensore a manforte della linea e non un centrocampista (T.Motta) che non può garantire passo né legna. Tornano poco i conti anche con Cassano unico riferimento offensivo: a determinati livelli è una mossa che toglie peso. E dà in cambio inconsistenza. Inesistenza. Insomma il pur offensivo arbitraggio – cartellini da invertire: giallo a Marchisio e rosso allo spregevole Suarez – che ha generato il risultato negativo non può celare le analisi proposte. E dovute. Non ci deve bastare sapere di non essere inferiori a questo Uruguay. Paga Prandelli (giusto) ma anche perchè tradito da nomi che rischiano di salutare definitivamente la nazionale italiana.

LA RIPARTENZA – Per certificare l’Anno Zero del calcio italiano abbiamo atteso le annunciate ed irrevocabili dimissioni dei vertici tecnici e federali: va via Prandelli ma lo segue a ruota Giancarlo Abete, di fatto ex presidente della FIGC. Addio dignitoso che dovrà giocoforza essere l’occasione per ripartire. O meglio costruire. Sul tavolo, prima delle nuove nomine, andrebbero poste delle idee talmente tangibili da piegare le basi del tavolo stesso. Riforme che vadano in primis a valorizzare i settori giovanili – non solo tecnicamente ma dal punto di vista della cultura sportiva e del valore intrinseco – ed in seconda battuta ad operare nella fase di supporto al lavoro delle società. Sul primo capitolo il riferimento è il modello spagnolo: la caduta della nazionale maggiore preoccupa relativamente considerando i giovani rimasti a casa ed i giovanissimi dell’Under 21. Una parata di potenziali stelle. Dall’altra parte c’è il rilancio del prodotto Serie A: impensabile negarlo, una nazionale forte va di pari passo con un campionato attrezzato ed attrattivo. A meno che non sei Argentina o Brasile e godi di quel talento. Che noi non abbiamo mai avuto. E dunque, data l’impossibilità di partorire i Messi o i Neymar, tocca programmare: anche sul lungo periodo, nessun problema. Ci armeremo di pazienza. A patto però di conoscere la strada. Di vederla e toccarla con mano.

L’unico modo per liberarsi dalle responsabilità consiste nell’assolverle”. Walter S. Robertson