Fabrizio Cacciatore: l'insostenibile peso di essere scarsi - Calcio News 24
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Cacciatore: l’insostenibile peso dell’essere scarsi

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Nessuna disquisizione su torti o favori arbitrali, nulla a che fare con la Juventus. Questa è la disamina sociologica dell’arroganza di chi è scarso di mezzi e si rende goffo di fronte all’Italia: Fabrizio Cacciatore

Ogni articolo d’opinione ha una premessa e la premessa di quest’articolo è che non c’è una reale premessa. Nel senso: riguardo alla partita di ieri c’è ben poco da scrivere più di quanto sia già stato scritto da esperti o pseudo-esperti della tattica e della moviola nostrana. Si può essere dell’opinione che la Juventus, alla lunga, abbia meritato di vincere contro un Chievo tutto sommato battagliero o che la Juve rubi o sia sempre aiutata dalla fortuna e dagli arbitri: discuterne ha senso fino a un certo punto. Dopo tot anni più che altro l’eterna polemica tra juventini ed anti-juventini ha finito un po’ per avvizzirci i coglioni: non esiste un reale vincitore, non esiste nemmeno una verità oggettivamente valida. Ogni tesi pro e contro finisce per avere più o meno la stessa valenza della pure eterna diatriba su se sia meglio il guanciale o la pancetta nella carbonara. Solo che almeno in quel caso se magna, qua se parla solo e che du’ palle…

Il focus della questione, piuttosto, andrebbe spostato su di un altro elemento di cui sarebbe interessante dibattere, magari di fronte ad un buon brandy d’annata con un fine dicitore che si interessi di pallone in termini più che altro filosofici e quasi metafisici: «Mah guarda, secondo me il calcio è bello, però la fica è tutta un’altra cosa». La verità è che Juventus-Chievo ha lasciato in alcuni di noi un dubbio insoluto, ma a suo modo comunque nodale: quanto possono essere arroganti gli scarsi? O anche: in che modalità la povertà di mezzi tecnici si accompagna spesso ad una immotivata arroganza? Perché che quelli bravi siano spesso arroganti ed anzi prepotenti non è certo ‘sta grandissima novità (juventini, ammettetelo, non sempre siete stati un modello di comportamento), ma che lo siano pure quelli che di regola farebbero meglio a mantenere un basso profilo, è di per sé abbastanza preoccupante, lasciatecelo dire francamente.

Cacciatore: la classe operaia non va al potere, rimane operaia

Fabrizio Cacciatore, nato a Torino l’8 ottobre 1986, è un calciatore di Serie A militante nel Chievo. Non è un fenomeno. Dopo la trafila giovanile tra Juventus (udite udite) e Torino, il buon Fabrizio, soprannominato da amici e tifosi “The Hunter” (largo alla fantasia oh) ha cominciato una carriera tutto sommato discreta, di certo non eccelsa, a cavallo tra la Serie B e la massima categoria arrivando a giocare in società come Sampdoria, Hellas Verona e, appunto, Chievo. Di lui conosciamo qualcosa, non tutto: ama i tatuaggi (ne ha un po’), è sposato con figli, possiede un negozio a Torino, ama esultare dopo un gol (in carriera ne ha fatto qualcuno) con movenze ridicole e sopra le righe. Cacciatore è un po’ l’emblema del calciatore medio: non troppo furbo, non troppo pensante e nemmeno troppo bravo. “La classe operaia al potere”, direbbe qualcuno: il problema è che questa classe operaia dovrebbe imparare a sindacare su sé stessa, prima ancora di sindacare sul resto.

Tradotto in altri termini: se sei José Mourinho, acuto stratega, uomo di mezzi intellettivi nettamente distinguibili rispetto alla media (è così, non fate finta di no dai) e con un discreto curriculum di vittorie alle spalle, il gesto delle manette tutto sommato potresti anche permettertelo. Non sarà bello, non sarà elegantissimo, ma è una modalità comunicativa che ha una sua fierezza. Se sei Fabrizio Cacciatore, giochi nel Chievo (con tutto rispetto) e perdi una partita che tanto era già chiaro da mesi che avresti perso (il bello del calcio è l’imprevedibilità solo se giochi in Premier League, magari pure di quest’altra banalità facciamone a meno, grazie), il gesto delle manette anche no. Non per lesa maestà nei confronti della Juve o della classe arbitrale, perché su questi argomenti potremmo anche superare brevemente ogni discussione stampando un sempreverde “ma chi se ne frega”. Più che altro per dignità personale, per evitare il ridicolo carosello delle scuse poco sentite del giorno dopo (leggi anche: CHIEVO: LE SCUSE DI CACCIATORE – FOTO) più proprio al massimo di chi si sveglia la mattina dopo una sbornia epica e non ricorda che è successo la sera prima finché non gli mostrano le foto su Facebook di lui che se lo tira fuori per strada davanti alle vecchie.

Quando la mediocrità vuole dignità

Che poi, anche da un punto di vista meramente estetico, ma quanto può essere brutta e goffa la posizione assunta a bordo campo da Cacciatore tipica dell’operaio dell’ANAS a cui scappa mentre lavora ed è costretto a fare la cacca a lato dell’autostrada mentre passano i camion? Il calcio italiano già fa schifo così di suo, almeno la creanza di evitarla a noi poveri telespettatori, il quasi anonimo (fino a ieri) Fabrizio avrebbe potuto avercela. Perché poi alla fine il punto è tutto lì: non vale più la pena discutere di torti o favori arbitrali, di chi ha ragione e di chi non ce l’ha, se è l’ignoranza a urlare per ultima mentre la ragione tace. L’unica verità condivisibile può essere al massimo una sola: anche la mediocrità vuole una sua dignità, perché in fondo è questo l’unico modo per cui la si può tollerare meglio, con il quale diventa cioè sostenibile. Così invece no: questo è solo l’insostenibile peso dell’essere scarsi.