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L’utopia di Corioni

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Ieri ci ha lasciato Gino Corioni, riviviamone la carriera e le idee

Sono lontani i tempi in cui l’Ospitaletto giocava in Serie C1 al sabato pomeriggio oppure quelli del Bologna in Coppa UEFA o ancora il Brescia in Intertoto con Baggio titolare. Il fatto che siano lontani però non vuol dire che per forza debbano essere dimenticati o messi in secondo piano, perché quella era l’idea calcistica di Luigi Corioni: ex consigliere del Milan, portò l’Ospitaletto tra i professionisti, il Bologna di nuovo in Europa e il Brescia alle porte del Paradiso. Ieri, all’età di settantotto anni, Corioni è scomparso dopo una malattia e una battaglia durate dieci anni, da quando in pratica era iniziata la fase calante della sua carriera di presidente. C’è chi nasce per allenare, chi per dare calci a un pallone e chi per dirigere, e Luigi Corioni detto Gino era nato proprio per fare l’architetto del calcio. Gettava fondamenta, creava le basi per i sogni e metteva in piedi utopie che spesso non erano nemmeno destinate a rimanere tali. Di solito quando qualcuno passa a miglior vita ci si chiede cos’è che resta di lui e per quanto riguarda Corioni non ci sono dubbi sulla risposta: un forte sentimento verso il calcio, una passione d’altri tempi che lo ha fatto spostare nel nord Italia e poi in tutta la Penisola e in Europa alla ricerca di potenziali campioni o al seguito della propria squadra, senza mai abbandonare la voglia, il gusto del veder praticare l’arte del pallone. Un uomo sapiente, un presidente capace, che solo negli ultimi anni ha sentito il peso del suo ruolo e non è riuscito a ottenere quei grandi risultati che aveva avuto in passato.

LA TERRA – Nato a Castegnato, provincia di Brescia, Corioni è rimasto sempre profondamente legato alla sua terra, fin dagli esordi. Negli anni Sessanta aveva fondato la Saniplast, azienda di arredi da bagno che inizialmente era la sua prima occupazione fino a quando il mondo del calcio non lo aveva chiamato. La provincia è il filo conduttore di tutta la carriera di Corioni che è passato dalle sfide con la Juve Domo a quelle con il Paris Saint Germain: prese l’Ospitaletto, il suo Ospitaletto, e lo portò più in alto che poté prima di passare al Bologna. Spirito battagliero, sapeva rimboccarsi le maniche e la sua storia parlava per lui. Cresciuto sotto i bombardamenti, fece parte di quella generazione di italiani abili con un colpo di genio – e forse anche di fortuna – a sfruttare il boom economico dei Sessanta e lì creò il suo impero. Non era uno nato con la camicia, zitto zitto aveva lavorato per una vita con solo il pallone in testa fino a quando Giussy Farina non lo volle come consigliere al Milan. Era però un periodo balordo per i rossoneri, anni di retrocessioni e di fallimenti, di contestazioni e di acquisti orrendi, e la sua esperienza milanese durò poco. Si trovò quasi costretto ad andar via dalla Lombardia, ma sapeva che un giorno sarebbe tornato in quel lembo di terra tra la Franciacorta e la Bassa. Quel che non sapeva era che per una volta la sua utopia sarebbe diventata un successo, un modello, un marchio.

ROSSOBLU – A Bologna Corioni arrivò nell’anno di grazia 1985 quando i felsinei erano sprofondati prima in Serie B e poi in Serie C1, nel peggior momento della loro storia. Quando Corioni prese il Bologna, i rossoblu si erano salvati da poco dopo una girandola di allenatori e continue liti interne, lo squadrone che tremare il mondo fa era diventato la brutta copia di se stesso. Corioni però seppe fare i giusti investimenti e creare una sua idea di calcio: perché non proporre bel gioco e nomi altisonanti anche se si gioca in Serie B e non si è la Juventus o la Roma o l’Inter? Corioni aveva questa idea, portare la provincia al potere. Ora, parlare di provincia per il Bologna potrebbe sembrare un po’ riduttivo, ma la squadra di quegli anni non aveva niente a che vedere con quella di poche stagioni prima o addirittura di oggi. Da Ospitaletto però Corioni volle portarsi a Bologna un giovane rampante allenatore, anche lui proveniente dalla provincia di Brescia, precisamente da Lograto: Luigi Maifredi lavorava alla Veuve Cliquot e forse anche per questo il suo modo di giocare lo chiamavano calcio champagne, ma anche e soprattutto per la sua maniera straordinaria e inusuale di essere spumeggiante. Velocità, tecnica e dinamismo diventarono le parole chiave del Bologna che nel 1987-88 dominò la Serie B e ritrovò finalmente la massima serie. Corioni lasciò il Bologna dopo l’acquisto del campione Lajos Detari, la conquista della Coppa UEFA, dopo aver dato vita a molte piccole storie come quella di Renato Villa, roccioso difensore che divenne Mitico come l’omonimo Riccardo.

LE RONDINELLE – Nel 1992 Corioni tornò nella sua terra, prese il suo Brescia e cambiò il modo di fare calcio in Italia. Risalì subito in Serie A con Mircea Lucescu che non faceva l’allenatore, bensì il direttore tecnico: sotto la guida del romeno il Brescia passò dall’essere una squadra da categorie inferiori a una presenza se non costante comunque assidua della prima divisione italiana. A Brescia la sua utopia ha trovato ancora una volta riscontro oggettivo perché Corioni ha stabilito ancora una volta il connubio tra il bel calcio, i nomi da grande squadra e la provincia. Sembra inutile a questo punto ricordare che fu lui a prendere Marek Hamsik quando ancora era minorenne e costava cinquantamila euro, oppure a lanciare Andrea Pirlo o a fare del Brescia uno dei settori giovanili più floridi e importanti degli ultimi venti anni di calcio italiano. Il pallone soffre di recentismo e quindi Corioni verrà sempre ricordato per due grandi colpi, forse i più importanti della sua vita da presidente. Due giocatori, due immagini che rimarranno impresse nella storia del pallone: la prima è un Corioni con i capelli fluenti intento a stringere la mano a Roberto Baggio, il quale mostra sorridente la maglia numero dieci; la seconda è simile, solo scattata qualche anno dopo e con a fianco un catalano di nome Josep Guardiola i Sala. E allora adesso possiamo pure farci tornare i lucciconi agli occhi pensando alle telefonate con Carletto Mazzone quando Baggio sembrava destinato alla Reggina. Oppure possiamo pensarla più in positivo e credere che quello stile di bel calcio sognato da Corioni abbia influenzato e in un certo senso sia stato fatto suo da Pep Guardiola, non proprio l’ultimo arrivato.