Orange is the new black - Calcio News 24
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2014

Orange is the new black

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prandelli indicazione italia giugno 2014 ifa

Perchè essere italiani è uno stress che ci saremmo volentieri risparmiati ed essere olandesi no

IN DUE PAROLE – Non sono bravo con le sinossi, ve la faccio molto breve: praticamente c’è questa serie televisiva americana che parla di una tizia sbattuta in cella perché dieci anni prima aveva commesso un reato. Nel penitenziario femminile dove finisce, comincia un po’ a ripensare a tutta la sua vita ed alla fine ritrova sé stessa. Sé stessa ed anche un po’ di botte, ma soprattutto sé stessa, ecco. La serie tv si chiama “Orange is the new black” perché le divise carcerarie negli USA sono arancioni, molto sobrie, di quelle che potresti vestirti da zucca a Carnevale, andare in strada di notte ed evitare che ti buttino sotto le auto.

ALKA SELTZER O ALCATRAZ – Comunque, io in quel penitenziario ci butterei la nazionale italiana di calcio: chiuderei ogni singolo giocatore in isolamento, a contatto con i suoi peggiori incubi, anche solo una settimana. Buffon con la Seredova e la D’Amico insieme, nella stessa cella, che se non viene fuori un film con Tinto Brass minimo Gigione viene preso a morsi e rimane offeso ad una mano. Chiellini e Paletta li chiuderei in cella con uno specchio: mi pare già quella una punizione eccessiva. Thiago Motta lo metterei in una cella enorme, dove il tavolo è almeno a 40 metri dal letto, così se vuole mangiare deve camminare e se vuole dormire pure: per contrappasso dopo un paio di volte a farsi la cella su e giù, avrebbe già percorso comunque più di dieci anni della sua carriera sui campi messi insieme. Insigne e Cassano li chiuderei in cella con un dizionario Zanichelli della lingua italiana e direi loro «Se volete mangiare, dovete imparare ogni giorno una parola nuova»: sul serio, datemi un mese e ve li spedisco con Umberto Eco a ritirare il Premio Strega. A Balotelli infine non farei nulla, lo lascerei libero per le campagne con dieci euro in tasca, che se non finisce a raccogliere arance a Gioia Tauro per 7 euro l’ora o a delinquere, minimo mi entra al Grande Fratello.  

IL GIORNO IN CUI – Penso che l’umanità abbia cominciato il suo percorso verso l’autodistruzione, il giorno stesso in cui Prandelli, negli abissi segreti della sua mente, ha pensato “Quasi quasi, faccio l’allenatore”. Guardo lui e vedo la negazione del calcio: è come se Alessandro Manzoni si svegliasse dalla tomba e dicesse «Dai raga, s’era scherzato, “I Promessi Sposi” sono una cagata». Ogni singola volta che Prandelli escogita una tattica, in qualche parte del mondo, un allenatore muore. Vedi la partita con l’Inghilterra e pensi “Però oh, mica siam poi tanto scarsi”, poi guardi il loro commissario tecnico, Roy Hodgson, e ti rendi conto che la Regina Elisabetta ha cominciato ad invecchiare davvero il giorno stesso in cui s’è resa conto che questo tizio qui doveva rappresentare la sua nazione al Mondiale. Allora speri che la partita con la Costa Rica, contro una nazione che non c’ha manco l’esercito, pensate un po’ (roba che se domani il Turkmenistan – il Turkmenistan! –  gli dichiara guerra, questi sono costretti ad uscire di casa con le mani in alto, pregando il Signore che almeno questi turkmeni le mogli non gliele ciulino a turno), possa almeno non essere una disfatta: ma tu, uomo della strada, che conosci Prandelli ed i suoi giocatori, già sai come andrà a finire. Non lo ammetterai mai, ma già lo sai: siamo gli stessi che persero contro il dentista nordcoreano, siamo ancora quelli che hanno pareggiato con la Nuova Zelanda (questa pensavate di averla rimossa, vero?). Ed infatti finisce che perdi contro una nazionale di cui non conosci manco l’articolo: si dice “il” Costa Rica, o “la” Costa Rica? E nel mentre che te lo spiegano ha già realizzato che non te ne frega un emerito cacchio di come si chiamano questi. Che non te ne frega niente del Mondiale, che non volevi manco nascere italiano, tu volevi nascere olandese, volevi essere allattato dalla mammella di Yolanthe Cabau, volevi i coffee shop aperti a ogni ora del giorno, ma soprattutto volevi le donnine in vetrina che vendono l’amore, non Equitalia che ti vende la casa.

I DON’T GIVE A DAMN – Perché in fondo, ragazzi, la differenza è tutta lì: l’Olanda non ha vinto quattro Mondiali, non è elegante come l’Italia di Dolce&Gabbana e non è potente come la Germania di Schweinsteiger, non è bella come il Portogallo di Cristiano Ronaldo e non è fantasiosa come l’Argentina di Messi, non è superba come la Francia di Dio solo sa chi ci gioca e non è manco appariscente come il Brasile di Neymar e Dani Alves, due che dovrebbero avere il porto d’armi per entrare dal barbiere, ma è spensierata e non gliene frega niente di perdere. E quasi sempre a chi non frega niente di perdere, vedete, non frega poi niente di vincere: infatti l’Olanda ne fa 5 alla Spagna campione del mondo con la stessa naturalezza con cui io provo a toccare il sedere alle ragazze fingendo di essere cieco e debosciato. Alla fine succede che il tuo incubo peggiore si materializza: una nazionale vestita come ad una parata di zucche e dipendenti ANAS che passeggia sul Mondiale mentre tu speri che Suarez abbia finito le scorte di lobi delle orecchie in tempo per l’ultima partita del girone e che magari Prandelli ti faccia la grazia di dimenticarsi di fare la formazione quel giorno, come al fantacalcio, quando vinci perché la formazione te la fa il computer in automatico. Lo speri, perché è l’unica possibilità rimasta perchè gli arancioni non facciano nero il mondo e non te lo piazzino in quel posto come il tuo compagno di cella di colore che ti spia di notte al buio mentre dormi pensandoti come Federica Nargi in intimo Goldenpoint. Per ritrovare chi sei.

Orange is the new black.