2020
Casarin: «Arbitrare in uno stadio vuoto è una pena. Cinque cambi? Ora sì ma dopo…»
Paolo Casarin, ex direttore di gara internazionale, ha parlato sulle pagine della Gazzetta dello Sport: le sue parole
Paolo Casarin, ex direttore di gara internazionale, ha parlato sulle pagine della Gazzetta dello Sport. Queste le sue parole sul tema ripartenza del campionato dal punto di vista di un arbitro.
ARBITRARE IN UNO STADIO VUOTO – «È una cosa che fa pena: un arbitro vero partecipa molto a una partita e una partita a porte chiuse è per forza diversa. Poi anche l’arbitro è estremamente vanitoso, ambizioso, vuole fare vedere che è bravo. se non ha nessuno che lo guarda cambiano le cose anche per lui».
CAMBIAMENTI – «Cosa cambia? Beh, anche il fischio del pubblico all’arbitro è come una sfida: il direttore di gara può mostrare di aver visto qualcosa che agli altri è sfuggito. Il gioco è una forma di invito a dare tutto se stesso, anche per il servitore del gioco, e il pubblico fischiando tiene il gioco sul binario, ti tiene vivo e in regola. Non vuol dire che il calcio così sia morto, ma sicuramente scade».
PROTESTE – «Non so, il nervosismo nei confronti dell’arbitro è un fattore che non credo possa scomparire da un momento all’altro, non è che il virus rende tutti più buoni».
VAR – «Il problema non è la tecnologia ma le persone che devono lavorare insieme l’arbitro in campo e quello al monitor. “L’arbitro in campo deve decidere” si dice. Ma su, l’altro lo aiuta, è suo amico: lui perde qualcosa? No, ne acquista la partita. In un tempo in cui si mette in dubbio tutto, come si fa ad accettare che una partita sia involontariamente falsata da un bravo arbitro quando abbiamo lì la soluzione? Il Var non ti invita a complicare le cose, ma a semplificare. Non cresciamo sulla pignoleria, ma sulla regolarità».