Dunga: «Balotelli, fà la rivoluzione! Pirlo? Un grande» - Calcio News 24
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2013

Dunga: «Balotelli, fà la rivoluzione! Pirlo? Un grande»

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L’ex ct della Seleçao, ora all’Internacional, ha parlatod ella Conederations Cup.

CONFEDERATIONS CUP BRASILE ITALIA DUNGA – Ex giocatore di Pisa, Fiorentina e Pescara per quanto riguarda le sue esperienze in Italia, Carlos Dunga ha parlato al Corriere dello Sport in vista della Confederations Cup innanzitutto del “suo” Brasile: «Meglio non vincerla? Rovescio il concetto: quelli che l’hanno fatto, avevano vinto il campionato del mondo. Per dire che questa è una competizione molto importante. Io dico che vincere, anche nel calcio, è sempre molto difficile, servono tante cose, tutte insieme e valorizzate al massimo. La principale è avere i giocatori che fanno la differenza in buone condizioni. I molti impegni pesano. Ma più che la stanchezza fisica e mentale, che puoi recuperare durante il ritiro, sono gli infortuni la vera incognita per una Nazionale che vuole primeggiare. Questa Confederations vale soprattutto per il Brasile. La squadra è in una fase di maturazione e, non dovendo giocare le qualificazioni, ha bisogno di affrontare partite con avversari “veri”, impegnativi. Per due anni non c’è stata chiarezza nelle scelte, troppi cambiamenti… Non si forma un gruppo in questo modo. Abbiamo stabilito il record mondiale di turn over di portieri, mi pare 10 o 12 in due stagioni. Può essere un metodo? Felipao l’uomo giusto? Lui e Parreira hanno grande esperienza. Con loro lavora Paulo Paixao, il mio preparatore all’Internacional. Un bel gruppo. Che ha capito che non si poteva buttare via altro tempo. Ora c’è un gruppo, gli ultimi risultati con Inghilterra e Francia aiuteranno tutti ad avere più fiducia».

L’attuale allenatore dell’Interncional ha poi analizzato le avversarie: «Mi piace l’Uruguay. Ha una cosa che in un torneo breve, come la Confederations, conta tanto: il carattere. Italia? Mi pare che il lavoro di Prandelli sia preciso. Una tradizione rinnovata. Soprattutto la Nazionale è uscita da un equivoco: a un certo punto non difendeva, né attaccava, restava a mezza strada. Ora invece, come è stato allo scorso Europeo, si copre e riparte. Ciclo finito per la Spagna? Sì, è normale, adesso conta solo la Germania… A me il gruppo della Spagna mi sembra sempre fortissimo. Le altre non stanno ferme. C’è il Messico campione olimpico. Il Giappone poi è cresciuto tantissimo. In più ci metti l’esperienza tattica di Zaccheroni ed ecco che il Giappone sa vincere. Mondiale 2014? Al quartetto di prima, aggiungo la Germania. Non perché ora va di moda ma proprio perché loro arrivano sempre anche quando non vanno di moda. Lì lavorano convinti, anche quando le cose vanno male. Noi latini, invece tendiamo a voler cambiare tutto, alle prime contrarietà. Poi naturalmente c’è l’Argentina. E dico attenzione alla Colombia: è cresciuta tantissimo».

Il tecnico brasiliano ha poi proseguito parlando di Neymar, Pirlo e Balotelli: «Neymar tecnicamente ha colpi fantastici. Sicuramente nel Brasile ha pagato i tanti cambi di cui parlavo prima. Qui c’era il bisogno di trovare la soluzione dei problemi della Seleçao caricando di responsabilità un ragazzo di 18 anni. Non si può dire: Neymar, oggi vai e comanda tu… Non è così. A 18 anni uno può essere un leader tecnico ma intorno gli serve una squadra. Barcellona? Qualche rischio c’è. Ma io sono sicuro che Neymar farà bene. Perché qui in Brasile, tutti cercavano di bloccare lui per bloccare la squadra, lì ci sono Messi, Iniesta, Xavi… Sarà meno dio ma avrà più libertà. Pirlo? La sua è un altro tipo di fantasia. Dove gli altri fanno dieci passaggi inutili, lui vede il gioco come nessuno, e con un tocco alza la squadra di 30 metri. Un grande. Balotelli? Lui è un attaccante moderno, forte, senza dubbio. Ma il punto è proprio l’aspetto legato al personaggio. Io dico che non dobbiamo trovare scuse o attenuanti. Lui può e deve lottare contro il razzismo, può fare una piccola grande rivoluzione personale, senza vittimismo, ma con la forza che possiede. Balotelli può fare tanto, come simbolo, per la gente perseguitata, che non ha voce, che non ha presente, né forza per lottare. Mario invece ha tutto. Quindi non si butti via con atteggiamenti sbagliati. Faccia come Pelè. E non è certo matto come dicevano in Inghilterra: sono altri che andrebbero curati».