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2015

Egli danza

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Elogio di Hernan Crespo: calciatore che danza, inno alla gioia del pallone

Nell’episodio La Ricotta diretto da Pier Paolo Pasolini Orson Welles interpreta un regista straniero venuto in Italia per girare un film sulla Passione. Una delle scene più famose è l’incontro con un giornalista sempliciotto al quale Welles recita una poesia dello stesso Pasolini. Prima però il giornalista in questione chiede al regista un’opinione su Federico Fellini e Welles, apparentemente svogliato, mette su quella specie di broncio che lo ha sempre contraddistinto e si limita a dire, con la voce di Giorgio Bassani: «Egli danza. Sì, egli danza». Una danza metaforica ovviamente, eppure una leggiadria di fondo, una spensieratezza e una gioia – per quanto intrisa velatamente di amarezza – che rendono la danza stessa ancora più virtuosa. Questo tipo di danza, si perdoni il paragone che può parere assurdo, si può riscontrare anche in certi attaccanti che in passato hanno calcato i terreni di gioco in Serie A. Uno in particolare sapeva muoversi con cotanta destrezza tra le maglie avversarie, aveva biondi riccioli da putto del Cimabue e un sorriso estatico, anche quello quasi bambinesco. Si chiamava, e si chiama tuttora, Hernan Jorge Crespo e probabilmente è uno dei migliori numeri nove che il calcio italiano abbia mai avuto. Senza dubbio l’unico a poter danzare, a saper danzare, con quel fisico e grazie a quel fisico non greve ma di certo non minuto. Un po’ come nel Tanztheater di Pina Bausch, Hernan Jorge Crespo danza ed è attore e interagisce pienamente con i materiali scenici, siano essi i compagni di squadra o i malcapitati portieri avversari. E, sempre come in una coreografia di Pina Bausch, Crespo fa emergere in ogni suo movimento una passione innata per il ruolo che ricopre, in questo caso quello di attaccante innamorato del gol.

MI BUENOS AIRES QUERIDO – Se si nasce in Argentina e si sceglie di fare il centravanti allora la strada è già segnata. Non esistono attaccanti argentini uno uguale all’altro, anche per una minima epsilon c’è comunque una differenza non tanto fisica quanto tecnica. Si prenda ad esempio Batistuta, emerso nel nostro campionato poco prima di Crespo: Batigol era possente, uno squalo che annusava il gol, ma era un cannibale, usava spesso la spada e sembrava uscito da un film di Werner Herzog. Crespo invece è molto più argentino, un ballerino di tango per le movenze ma non nello spirito, che vuole il tanguero serio e quasi triste, mentre Crespo è l’inno alla gioia. Sempre sulle punte, è partito dal River Plate ed è arrivato a Parma dove ha lasciato il cuore nonostante un inizio non promettente: prima un infortunio, poi il primo gol a San Siro in una sconfitta contro l’Inter e un lungo digiuno interrotto solo nel marzo del 1997, quando ormai i tifosi parevano aver perso le speranze. Eppure Crespo zittisce tutti, segna e si mette le mani alle orecchie nel suo unico gesto un po’ di sfida nei confronti di un pubblico – quello del Tardini – a cui lo legherà sempre un sentimento di profonda stima, logicamente contraccambiata. Lo chiamano Valdanito per due motivi, il primo è perché è argentino e da che mondo è mondo gli argentini un soprannome lo devono avere, il secondo perché ricorda Jorge Valdano che, come lui, era riccioluto – ma più scuro di capelli – e movenze garbate, piacevoli. Altro tratto distintivo tra Valdano e Crespo: la grande intelligenza, la capacità di saper leggere sul campo le situazioni di gioco per riuscire a dare una mano alla squadra e, cosa molto importante, a segnare. Si pensi al 1998-99, ai tre gol che contrassegnano questa sua annata. Due di tacco, uno alla Juventus e uno alla Fiorentina, e uno in finale di Coppa UEFA al Marsiglia da rapace ma un rapace delicato, che sfrutta un errore difensivo e si inventa un pallonetto morbido che scalda gli animi nella fredda sera primaverile di Mosca. Tre gol bellissimi, frutto di intuizioni geniali ed eseguiti con gesti soavi.

COMME IL FAUT – Segna molto Crespo, ha una media gol paurosa. Fa gol in qualsiasi maniera perché non sa usare solo il fioretto, spesso dimostra anche la sua abilità con la sciabola e il Parma prima e la Lazio poi se ne giovano. Già, la Lazio. Il suo trasferimento nel 2000 è quasi scandaloso per le cifre che tira in ballo ma sono anni di virtuosismi tra Parmalat e Cirio e oltre alle reti sono anche i conti a gonfiare, ma è tutta un’altra storia. Crespo va nella Capitale e vince subito la classifica cannonieri, rimane due anni e porta a casa solo una Supercoppa Italiana ma anche a Roma lo ricordano per quel suo modo di portare palla, con le braccia un po’ più larghe del normale pronte a mandare in tilt ogni difensore a ogni minimo cambio di passo – lo aveva già fatto ai tempi del Parma in un match con la Juventus pareggiato in nove nel recupero, quella esultanza ancora oggi è un poster che non può mancare in casa di un tifoso ducale. Sa usare la sciabola, dicevamo, e bisogna per forza portare ad esempio un altro gol. La dimostrazione empirica della completezza dell’attaccante danzatore (o danzattore) Hernan Crespo arriva in un Lazio Fiorentina del 2001, a risultato acquisito con i viola spinti in avanti. Claudio Lopez, solo contro Manninger, si fa ribattere il tiro dall’austriaco e la sfera si alza fino al limite dell’area, dove a mezza altezza la colpisce il Valdanito. Una sforbiciata che riscrive momentaneamente le leggi della fisica e dell’anatomia e si insacca sotto l’incrocio. Andrà all’Inter e continuerà a fare gol, ma un’infortunio in un posticipo col Modena spezzerà i sogni suoi e di Cuper. Lo prende il Chelsea ma si infortuna spesso e il rapporto con Mourinho non è dei più idilliaci, poi va al Milan del maestro Ancelotti e, dopo un iniziale sbandamento, sfiora il sogno di una vita. A Istanbul è lui, con due gol che definire alla Crespo non sarebbe affatto sbagliato, a far accarezzare il sogno di una Champions League che diventerà l’incubo più grande di ogni tifoso del Milan, uno spartiacque rossonero impossibile da dimenticare. Prima col piatto in controtempo mette dentro il 2-0, poi su un assist euclideo di Kakà fa un pallonetto d’esterno quasi innaturale e batte Dudek. Non finirà 3-0, purtroppo.

LIBERTANGO – Torna al Chelsea e di nuovo all’Inter, senza mai andare sotto i dieci gol stagionali e iniziando a saltare più partite del dovuto, causa acciacchi ogni stagione più frequenti. In nerazzurro si toglie la soddisfazione di vincere un campionato da record dopo Calciopoli e di ripetersi anche nelle due stagioni successive, nelle quali il peso degli anni – ormai più di trenta – si fa sentire ma la classe e lo stile di Crespo non svaniscono mai, neppure quando imbocca il Sunset Boulevard con la comparsata al Genoa e poi romanticamente veste di nuovo la maglietta del Parma. Segna il suo ultimo gol in Serie A contro il Livorno nel 2011 all’ultima giornata, un gol inutile contro il giovanissimo portiere Bardi esordiente in Serie A. Il tocco alla Crespo non sta tanto nel gol in sé o nella giocata, è una rete normale, ma sta nell’abbraccio con Bardi subito dopo aver segnato. Si conclude nel 2012 la carriera calcistica di Crespo e non può che finire a Parma, la città che lo ha accolto con diffidenza prima ma con smisurato amore poi quando i riccioloni biondi sono diventati sempre più corti e grigi e il sorriso gioioso è stato segnato da rughe impercettibili. Crespo ha segnato tanto e ha fatto brillare gli occhi ai tifosi di tutte le squadre in cui ha giocato, perché ha sempre lottato – è argentino, non dimentichiamoci che i luoghi comuni per loro non esistono – ma con una certa tecnica, come se in sottofondo ci fosse sempre Astor Piazzolla e come se il pallone fosse la donna: l’uomo guida, la donna segue, è una regola non scritta che Crespo attua alla perfezione. Sempre pronto a esultare e a tirar fuori tutta la sua innata gioia dopo un gol, ovviamente perfetto a livello estetico. Crespo ha fatto dell’essere attaccante un’arte anche se, ahinoi, il crespismo non è diventato una corrente. Anche perché una danza così era difficile da replicare.