Italia, post-fallimento: da Prandelli-Murphy allo scontro generazionale - Calcio News 24
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2014

Italia, post-fallimento: da Prandelli-Murphy allo scontro generazionale

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Impoverimento non solo tecnico, ma soprattutto umano per la Nazionale

Cesare Prandelli è la versione moderna di quel famoso ingegnere che nel 1949 dopo un esperimento dichiarò: «Se ci sono due o più modi di fare una cosa, e uno di questi modi può condurre a una catastrofe, allora qualcuno la farà in quel modo». Una sorta di rivisitazione in chiave azzurra per Edward Murphy. L’ormai ex commissario tecnico si è assunto la responsabilità dell’eliminazione dai Mondiali in Brasile dopo aver trascorso le ultime settimane a cercare un vestito da fare indossare alla sua Nazionale, non accorgendosi però che la festa stava già cominciando. E alla fine la festa ce l’hanno fatta. Ha dimostrato poco coraggio e idee Prandelli, che non è riuscito a sviluppare il materiale tecnico a disposizione, ma si è aggrappato ad un tiki-taka macchinoso come Internet Explorer e brutta copia di quello morto tra i piedi dei suoi stessi inventori.

Così come dopo la sconfitta di Natal è partito il processo sulle responsabilità e colpe (l’ombra di Byron Moreno ci insegue tanto quanto quella di Andreotti) e sono cominciati a circolare immediatamente i proclami sul progetto di ricostruzione, altrettanto bisognerebbe riflettere sulla “materia prima” a disposizione. L’anno zero dell’Italia diventa, dunque, l’occasione per rigenerarsi. Del resto la figuraccia azzurra, che rievoca inevitabilmente quella in Sudafrica nel 2010, è espressione dell’impoverimento del movimento calcistico italiano.

Un impoverimento non solo tecnico, ma soprattutto umano: la scuola di pensiero secondo cui l’Italia dà il meglio nei momenti di difficoltà può andare “serenamente” in pensione. Di quella squadra capace di tirare fuori grande personalità anche quando viene accerchiata non è rimasta nemmeno l’ombra: la polemica, nella quale prima si ritrovava convinzione, è diventata tappa di una via crucis attraverso cui toccare il fondo. Non siamo un Paese dalle consuete circostanze, certo, ma comunque diviso: abbiamo perso la capacità di sacrificio, l’importanza della sofferenza. Non quella inesorabile che abbiamo vissuto davanti alla tv fino a ieri, ma quell’afflizione che si trasforma in benzina per mettere in campo maggiore forza. La lotta su ogni pallone, perché può arrivare la giocata decisiva, ma anche la capacità di sopportare la pressione nei momenti delicati: niente di tutto ciò è rimasto.

E non devono sorprendere allora le dichiarazioni nel post-partita di Gianluigi Buffon e Daniele De Rossi, che hanno evidenziato l’inadeguatezza delle giovani leve azzurre. Dichiarazioni che sono state interpretate come un tentativo di scaricare il barile delle responsabilità, ma che potrebbero essere, invece, l’ultima testimonianza di leadership della vecchia guardia. Non si arrende né cerca alibi negli episodi arbitrali, ma affronta l’intricato nodo del fallimento senza ipocrisie e falsi moralismi. Spogliatoio sfasciato? Se pensiamo ai tifosi che, quando le cose girano male, si lasciano andare alle solite diatribe campanilistiche, forse quest’Italia che si congeda dal Brasile è più unita. Il calcio, in fondo, è lo specchio del nostro Paese. Speriamo, allora, che servano meno dei mille giorni di Renzi per riformarlo.