Tra Albania ed Italia doveva andare così - Calcio News 24
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2015

Tra Albania ed Italia doveva andare così

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La storica qualificazione dell’Albania di De Biasi ad Euro 2016: la favola perfetta. Con un inevitabile pezzetto d’Italia

L’Albania ha scritto la sua storia: la risonante vittoria in Armenia certifica il secondo posto del Gruppo I di qualificazione ad Euro 2016 e concede alla banda De Biasi il pass per la competizione internazionale che si disputerà in Francia nel prossimo giugno. La nazionale albanese di calcio non aveva mai centrato la partecipazione in un campionato europeo o mondiale.

LA STORIA – Fino al 2007 l’Albania era il primo Paese di provenienza per quanto concerne lo stock dell’immigrazione in Italia: poi l’esplosione del flusso rumeno – popolazione rumena stanziata in Italia quadruplicata negli ultimi dieci anni – ha condotto gli albanesi al secondo posto della lista. I circa 500.000 residenti certificati sulla penisola italiana, sommati agli Arbereshe – gli storici Albanesi d’Italia, una minoranza etnica, linguistica e religiosa (fede cattolica di rito bizantino, mentre oramai la religione principale in Albania è l’Islam) radicatasi in Italia nel lontano 1500 – ed a chi una residenza ufficiale ancora non la possiede compongono un nucleo decisamente nutrito. Basti pensare come in Albania vivano circa tre milioni di albanesi ed in Italia poco meno di un terzo: il rapporto non si può limitare ad un aggettivo quale solido, quanto invece è giusto parlare di qualcosa oramai fortemente radicata nel tempo.

LA SPERANZA – I flussi continui di albanesi in Italia nell’ultimo ventennio sono da rintracciare evidentemente nella ricerca di un posto migliore dove vivere: la meta ambita, la grande speranza. Per anni il popolo d’Albania ha guardato all’Italia come la terra da raggiungere per autodeterminarsi, per avere un futuro che non fosse quello ideato dall’opprimente regime comunista. Oggi la situazione sta mutando: dopo un decennio di continui tassi di crescita positivi (soltanto nel 2011 ci fu un decremento dovuto all’esplosione della grande crisi internazionale) è arrivato nel 2015 un meno 1.1% che la dice lunga sulla nuova geopolitica europea. L’Italia non è più vista come la terra della speranza e chi lascia il proprio Paese preferisce radicarsi in realtà socio-economiche più progredite: è così che le comunità albanesi hanno iniziato a guardare con insistenza a Paesi come Germania (che già conta oltre mezzo milione di albanesi sul territorio, superata la presenza nella nostra penisola) e Svizzera. E la crescita economica inizia a dare i propri frutti: cresce il numero di chi in Albania decide di restarci.

IL SIMBOLO – Un destino comune però è sempre esistito, esisterà e nulla potrà scalfirlo: la trama scritta ieri ad Erevan è simbolicamente il punto più alto raggiunto dal connubio di questi due Paesi. Di Italia ed Albania. Un allenatore italiano in cerca della sfida di una vita che parte da zero o poco più, richiede alle autorità locali i libri delle nascite per raccogliere in tutta Europa calciatori albanesi da poter convocare nella nazionale maggiore, non solo formando una squadra ma di fatto creandola, raccoglie i primi risultati nel percorso di qualificazione mondiale – tre vittorie, due pareggi e nel complesso una sorprendente tenuta contro realtà decisamente più attrezzate – fino all’exploit europeo. Nessuno provi a minimizzare il traguardo con la storia della nuova formula dell’Europeo a 24 squadre: è vero, certo, così come è altrettanto indubitabile che nel suo girone di qualificazione l’Albania abbia vinto in Portogallo sul campo di un tale Ronaldo e si sia messa alle spalle nazionali storiche quali Danimarca e l’acerrima rivale Serbia. La favola perfetta. La favola di Gianni De Biasi e del suo staff italiano, di capitan Cana, dei nostri Berisha, Hysaj e Memushaj, delle vecchie conoscenze Basha e Lila, di Bekim Balaj che di questo capitolo ha scritto il primo capoverso con la rete siglata ad Aveiro in Portogallo, dei più rappresentativi Taulant Xhaka e Shkelzen Gashi ma in generale di un gruppo (a differenza degli altri) non trainato da alcun singolo. Ha vinto l’unione. L’unità di intenti. E forse per questo motivo è una storia ancor più bella da raccontare.