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Buon compleanno a… Francesco Toldo

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Oggi è il compleanno di Francesco Toldo, l’ex portiere dell’Italia e di Inter e Fiorentina, tra le altre, la sua storia

Oggi Francesco Toldo compie 52 anni. Ultimamente il suo cognome è tornato d’attualità per merito del figlio Andrea, attaccante del Padova, che in conferenza ha parlato così di lui: «Mio padre per me è un idolo, a lui non piace parlare di me nelle interviste, perché vuole lasciarmi il giusto spazio. Lui aveva un altro ruolo e questa è una cosa favorevole per me, perché ho meno pressioni. I suoi consigli sono: divertirsi e impegnarsi sempre». Altrimenti, c’è poco da fare, fino a quando l’Italia non ha vinto l’Europeo del 2021, era fatale che lo si rievocasse o lo si andasse a intervistare ricordando l’edizione del 2000. Quella contrassegnata dalla semifinale tra Olanda e Italia e dall’epopea dei rigori parati, che anni fa ha raccontato mirabilmente Giuseppe De Bellis in un pezzo su rivistaundici.com intitolato “Amsterdam 29-06-00”, dentro il quale Paolo Condò, presente allo stadio, ricorda il primo tiro dal dischetto e che cosa ha determinato: «Il tiro di De Boer è tutt’altro che disprezzabile, forte, rasoterra e abbastanza angolato. No, non abbastanza. Francesco Toldo è un’anima lunga capace di distendersi in un amen: grandissima parata con palla in corner, esultanza per nulla trattenuta verso gli italiani in curva, e di lì in poi Toldo non la smetterà un momento di ridere, come se anziché giocare la partita la stesse guardando registrata, già informato del risultato, e dunque che godimento». Scene che abbiamo stampati tutti negli occhi, compreso un bambino di 6 anni, Ivan, che le vede in tv e lo elegge a idolo al quale modellarsi: «Mi innamorai di lui grazie agli Europei del 2000. Le sue parate contro l’Olanda le ricordo ancora oggi, compresi i rigori neutralizzati. Di quella partita avevo anche la videocassetta che ho praticamente consumato. Ogni volta che la guardavo, mi dicevo dentro di mettercela tutta per diventare come lui. E’ nata così la mia passione per il ruolo del portiere». Quel bambino è Provedel, portiere della Lazio, noto ancora di più da quando nell’attuale Champions League è andato in gol contro l’Atletico Madrid. Chissà se ispirato anche in questo da Toldo, che rivendica ancora oggi una deviazione nel finale in un Inter-Juventus, che però venne attribuita a Christian Vieri.

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Dopo l’Olanda ci fu la maledetta finale con la Francia, capace di riagguantare il pari negli ultimi istanti e di vincere poi con il golden goal di David Trezeguet. Francesco ne ha parlato a SkySport, proponendo una riflessione più generale, quasi filosofica, sull’accaduto in quella serata: «È stata dura da digerire, pensavamo di aver vinto a due minuti dalla fine. Loro riuscivano a ingranare fisicamente da metà partita in poi, noi avevamo un giorno in meno per recuperare. È uno dei più grossi rimpianti. Tante volte ho spiegato che negli sport gli atleti quando arrivano secondi o terzi sono contenti. Non vedo la distruzione, una tristezza incredibile. Vorrei fosse così anche nel calcio. Ma nel calcio o arrivi primo o sei un asino».

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Ovviamente quando 21 anni dopo gli azzurri si sono rifatti contro l’Inghilterra, per di più con un portiere eroe come Donnarumma ai rigori, a Toldo è toccato un po’ quello che è successo ad Adriano Panatta e agli eroi della Davis dopo il trionfo di Yannik Sinner e compagni: commentare gli eredi.

Oppure, lo vanno a intervistare in occasione dei confronti tra le squadre più importanti della sua carriera, Fiorentina e Inter, ottenendo risposte competenti nel merito e diplomatiche in ordine al tifo, all’insegna della non scelta tra due amori ugualmente sentiti.

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Un «cuore diviso in due», per sua stessa ammissione a La Gazzetta dello Sport prima dell’ultima finale di Coppa Italia tra viola e nerazzurri: «Firenze è stato il lancio, Milano la lotta perché a quei livelli non devi solo vincere ma anche confermarti. La cosa più dura». Con ancora un po’ di rabbia per gli ultimi anni trascorsi da riserva, questa, però, riservata in parti non uguali a chi ne è stato responsabile: «La differenza fu che mentre Mourinho mi spiegò perché mi preferiva Julio Cesar, Mancini prima non lo fece. Così è più difficile accettare la panchina».