Lazio, Marchetti: "Rischiai la vita, poi quante insidie..." - Calcio News 24
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2012

Lazio, Marchetti: “Rischiai la vita, poi quante insidie…”

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LAZIO MARCHETTI CAGLIARI – Dalla morte, sfiorata, alla Serie A, fino ai Mondiali: è stata la parabola ascendente di Federico Marchetti, portiere della Lazio, che raccontandosi ai microfoni di Sky Sport per “I Signori del Calcio”, ha parlato della sua carriera… “miracolosa”.

Tutto inizia con un brutto incidente stradale, qualche anno fa: Era il 2004, avevo appena fatto i 21 anni, tornavo con i miei compagni da Milano in autostrada, prima di Novara, o poco dopo Novara, un camion entrò nella nostra carreggiata e per schivarlo andai contro il guard-rail. La macchina sbandando uscì dalla scia del tir, poi piano piano rallentò, così ci salvamo tutti. Un quarto d’ora dopo però la macchina prese fuoco con noi dentro, fino ad esplodere. Dopo quest’episodio mi feci tatuare dopo sul braccio l’Ave Maria in un carattere indiano per ricordarmi che comunque sono stato fortunato. Cos’è cambiato da allora? In passato scherzavo molto, ora ho imparato a gestire le cose in un altro modo. Chi mi conosce poi fuori dal campo mi vede come sono veramente”.

Scampato un pericolo enorme, Marchetti approda al Cagliari, la piazza che lo ha lanciato in Serie A: L’arrivo a Cagliari è stato particolare: da un lato l’entusiasmo e le incertezze di un ragazzo che sta per esordire in Serie A, dall’altro l’avvio in campionato da incubo con cinque sconfitte di fila. Però in quel momento abbiamo fatto gruppo, il mister ha mantenuto la tranquillità: le prestazioni c’erano, mancavano i punti che sono poi arrivati con il Milan, in casa alla sesta. Da lì è iniziato il nostro vero campionato, finito con 55 punti e Cagliari riconosciuto come squadra rivelazione“.

Da lì in poi, il passo che lo porta in Nazionale è breve: “Diciamo che c’è stata questa annata eccezionale col Cagliari che poi s’è conclusa a maggio/giugno con la chiamata in Nazionale: meglio non poteva finire quella stagione. Io neanche ci credevo. Finché non sono entrato a Coverciano ed ho visto la tuta piegata sul letto, non avevo realizzato ancora quello che mi stava accadendo. Al Mondiale però, quando s’è fatto male Gigi, c’era comunque una sorta di dispiacere per lui, era un compagno in Nazionale ed era uno dei giocatori più importanti della nostra squadra. Personalmente ero contento, perché avrei giocato almeno le prime 3 partite del girone di un Mondiale, ma c’era comunque del rammarico per Gigi, perchè si vedeva che stava male. Più che gustarmi il momento su cose che avevo ottenuto con le mie mani comunque, perché nessuno mi ha regalato niente, mi sono sentito non all’altezza di quello che stava succedendo, e mi riferisco alla seconda annata a Cagliari da ottobre/novembre in poi. Ho avuto qualche infortunio ed una serie di cose che capitano quando uno non sta mentalmente sereno. Poi sono andato al Mondiale non sereno, con questa situazione che vivevo da 5 o 6 mesi. Lo sapeva la mia famiglia, sapevano che non ero più così contento di come affrontavo il quotidiano. C’è stato il Mondiale e lì, forse, vissuto come il Marchetti di adesso, avrei potuto fare di più, ma si parla sempre nel regime dei ‘se’ e dei ‘ma’, parlarne adesso è banale“.

I problemi, per Marchetti, non finiscono qui, ancora una volta ci si mette di mezzo il destino: problemi con il Cagliari e Federico che finisce per un anno fuori rosa: “Tornato dal Mondiale rilasciai la famosa intervista, dove affermai che la Sampdoria si era interessata a me ed avevo riferito a battuta questo ‘costavo troppo’, per ridere con il giornalista. Dissi che sarei rimasto a Cagliari, che andava tutto bene, anche se l’avventura alla Sampdoria sarebbe stata una bella esperienza… condizionale. Da lì Marchetti però venne visto come un traditore e venne messo fuori rosa. Attesi così che si sbloccasse il mercato ed una chiamata: c’era la Roma che mi voleva, una possibilità all’estero, ma tutto rimase fermo e la situazione non si sbloccò. Tornando indietro l’intervista non penso sia stata la goccia che fece traboccare il vaso, mi son fatto delle idee mie, ma me le tengo per me perché ritengo sia meglio così. Ho deciso di fare la causa per mobbing e portare il Cagliari all’arbitrato in Lega per decidere questa situazione che andava chiarita. Da lì loro iniziarono a trattarmi nettamente meglio, e parlo da metà ottobre fino a metà maggio. Fino a quel momento lì, oltre alla situazione ambigua per un ragazzo che aveva sempre dato tutto per il Cagliari ed i tifosi, c’era stata forse la mancanza di un pizzico di rispetto in più. Ero passato da protagonista a nessuno, a volte non c’era manco la roba per cambiarmi, per fare un esempio. Dall’oggi al domani, passare dal portiere su cui puntare per fare una stagione, a fare il quarto, mi è sembrato un pochino allucinante. Trovammo un accordo, anche perché avevo poi fatto causa civile e sia il Cagliari che i legali si erano un po’ impauriti. Abbiamo trovato un accordo con la clausola rescissoria ed il re-integro in rosa, anche se le gerarchie ormai erano quelle“.

Per Federico, scatta la molla, è il momento del riscatto: La scintilla era nata una sera, avevamo preparato le carte per fare causa. Ero a pezzi, letteralmente. Ho visto la serie di Rocky in tv, con lui che trova stimoli, finché non sale sul ring e batte il numero uno del momento. Ho pensato alla mia condizione ed a cosa mi aveva portato là e, nonostante non fossi convinto di avere delle colpe, ho trovato le motivazioni per tornare alla grande. Andavo la mattina a correre, ho conosciuto un istruttore di arti marziali, di kick boxing, ed assieme a lui ho intrapreso questa disciplina che mi ha permesso di maturare questa cattiveria interna nonostante fossi ai margini della squadra e fuori forma partita. Il mio rapporto con Cellino? Con il presidente ora ci salutiamo, non penso gli sia rimasto più neanche il pensiero negativo: ha sbagliato, lo si conosce. È un grande intenditore di calcio, ma talvolta pensa più di quello che una persona vede sul presente: con me magari è andato un po’ oltre e s’è reso conto che non avevo rilasciato l’intervista per andare via, o per altri motivi che non fossero quelli di una chiacchierata con un giornalista in vacanza per commentare l’interessamento da parte della Sampdoria”.

L’arrivo alla Lazio, poi:La Lazio ha rappresentato la mia nascita professionale. Lotito mi ha preso dopo esser stato fermo un anno ed ha fatto una scommessa quotata non benissimo. Era normale che mancava la gestione dell’adrenalina, della partita e delle pressioni. Forse quelle, ci ho messo un pochino a ritrovarle. Le prime partite non ero spavaldo come lo sono adesso. Ci ho messo un mesetto e mezzo a ritrovare tutti i meccanismi che si erano un attimino annebbiati. A me piace interpretare il ruolo uscendo molto, dare una mano alla difesa e giocare alto. Sono quel tipo di portiere. Tra i pali sono esplosivo e poi con i piedi me la cavo bene: non sono un fenomeno, ma sono migliorato. Adesso è un momento importante della mia carriera, anche se credo che quello che ho passato a Cagliari mi ha fortificato molto sia a livello mentale che professionale. Gestisco le situazioni con uno spirito diverso, sia a livello umano che professionale e penso questo serva a molto. Nei 2 anni di Lazio, il momento più importante è stato forse a Napoli, eravamo con diversi infortunati e venivamo da un periodo così così, due partite dopo c’era la Juve, ed è servito sia alla squadra sia a me sesso per ritrovare l’autostima che si era persa“.

I modelli di Federico, quali sono? Taglialatela è stato il primo portiere al quale mi sono affezionato, a Napoli stava facendo un campionato strepitoso, era un ottimo portiere e mi piaceva il suo modo di vestirsi, con tutti i colori precisi; era uno attento anche a queste cose. Crescendo è normale che mi sia appassionato ad altri portieri che giocavano in squadre di livello superiore e che vincevano qualcosa, quindi i vari Buffon, Peruzzi, Schmeichel“.

E gli obiettivi? Come obiettivo prioritario ho quello della qualificazione in Champions. Vincere è poi un altro obiettivo, anche perché ci sono competizioni importanti. Penso che ad oggi però parlare di scudetto sia abbastanza prematuro. Siamo da posizioni alte e penso che ce la possiamo giocare con tutti, però per parlare di scudetto o vittoria di competizioni importanti serve ancora uno scatto importante, sia mentale che di squadra e di società. Il Mondiale in Brasile è un obiettivo che mi sono prefissato, poi con chi me la giocherò non lo so. Io spero di esserci, poi solamente con la costanza e le prestazioni questo sarà possibile”.