Mihajlovic: «Ho sbagliato più rigori che punizioni. Malattia? Non bisogna mai perdere la forza di lottare»
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Mihajlovic: «Ho sbagliato più rigori che punizioni. Malattia? Non bisogna mai perdere la forza di lottare»

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Sinisa Mihajlovic, tecnico del Bologna, è intervenuto in diretta al Festival dello Sport in programma a Trento: le sue parole

Sinisa Mihajlovic protagonista al Festival dello Sport di Trento. Il tecnico del Bologna, salito sul palco, ha rilasciato alcune dichiarazioni:

VUKOVAR – «Sono nato a Vukovar, dove c’era questa grande fabbrica della ex Jugoslavia dove lavoravano anche mia madre e mio padre. Ricordo una volta che i giapponessi dissero che se avessero avuto a disposizione quel territorio avrebbero dato da mangiare a tutto il mondo per quanto era fertile. Solo Tito poteva tenere a bada gli jugoslavi, quando è morto è successo quello che è successo».

INFANZIA – «Come tutte le famiglie nella ex Jugoslavia non avevamo soldi per una babysitter o per pagarci l’asilo. Entrambi lavoravano dalle 6 fino a sera, quindi quando avevo 6 anni e mio fratello ne aveva 2 andavo a prendere il pane, il latte e li portavo a casa. Poi badavo a mio fratello finchè loro non tornavano. Ci facevamo anche tanti dispetti come succede tra fratelli, ma a 6 anni ero già grande. Mia madre mi ha sempre detto che era necessario farlo. Ora non lo farei mai con i miei bambini. Con lei scherzo, ma si vede che soffre perchè non poteva fare altrimenti in quella situazione».

RAPPORTO CON IL CALCIO – Mio padre prese un pallone dal mercato delle pulci, ma non ci si poteva giocare sull’asfalto perchè si sarebbe rovinato. Andavo ad un prato ad un km da casa mia e stavo tutto il giorno lì. Quando mio padre comprò un altro pallone iniziai a giocare anche per strada. Il mio vicino lavorava sempre e tornava a casa alle 6 di mattino, ma io a quell’ora iniziavo a giocare e lui sentiva sempre il rumore, quindi mia madre era costretta a litigare. Lui un giorno mi disse: “Se non diventerai calciatore non diventerai nessuno”. L’ho rivisto qualche anno fa, ma lui non mi ha riconosciuto. Quando gli ho detto di essere Sinisa mi ha risposto “Come sei invecchiato!”. Bisognava stare attenti anche a non rovinare le scarpe, perchè non era semplice comprarne di nuove.

SERIE C –  «Quando ho debuttato in Serie C nella ex Jugoslavia avevo 15/16 anni. Era tosta, c’erano tante squadre forti. I viaggi erano tutti in pullman e duravano anche tutta la notte. L’ho fatto per due anni di fila e per due anni di fila mi hanno eletto miglior giocatore della categoria».

STELLA ROSSA – «Facevo sempre il tifo per la Stella Rossa. Quando arrivai al Vojvodina mi sedetti vicino al mio idolo, era una situazione indescrivibile. Qualsiasi cosa mi chiedeva ero contento. Tra il calcio di oggi e quello del passato non c’è paragone. Massaggi? Quando avevo 16 anni vedevo che loro dormivano quando venivano sottoposti ai massaggi. Chiesi anche io al massaggiatore di farmene uno, ma uscii dolorante come non mai. Mi disse che mi dovevo abituare. C’era un altro rispetto».

PRIMO CONFLITTO JUGOSLAVO – «All’Europeo del ’92 ci hanno mandato via ma eravamo una squadra fortissima, la Jugoslavia era fortissima con grandi giocatori. Prima di questa guerra non si capiva quello che poteva succedere. Improvvisamente è impazzito tutto, io ero in vacanza in Spagna e al telefono con mia madre sentivo di sottofondo gli spari. Sono tornato indietro e ho visto che la guerra era scoppiata a Borov e la prima casa distrutta era stata la mia, me l’aveva distrutta il mio migliore amico croato. Era venuto e aveva ordinato di andare via ai miei genitori, il giorno dopo è tornato con altri e ha buttato giù la casa. Mi sono sempre chiesto come era possibile che uno che era mio fratello cambiasse improvvisamente per politica o religione. L’ho rivisto qualche anno dopo e mi voleva parlare: gli avevano ordinato di buttare giù la casa per dimostrare che era fedele alla causa e da lì ho capito e l’ho perdonato».

ERIKSSON – «Lui già pensava di arretrarmi, voleva che giocassi difensore centrale. Io non ero d’accordo, volevo giocare avanti. Contro il Cagliari in Coppa Italia sono arretrato, abbiamo fatto bene e la partita dopo ho fatto di nuovo bene. Contro la Fiorentina e Batistuta abbiamo giocato a 4 e da là è partito tutto. Poi serve un difensore centrale che comanda la difesa, che ha esperienza, carattere, che fa assist e fa gol, che mette paura agli avversari perché li minaccia. Anche se ora non si può più fare (ride, ndr). Noi minacciavamo, per Stam bastava vederlo, anche se era un pezzo di pane. Lui aveva avuto uno screzio con Pippo Inzaghi, noi avevamo in squadra Simone. Che mi diceva che gli avrebbe fatto vedere qualcosa… Poi arriva Stam, si spoglia, è un armadio, pelato, con i muscoli, tutto tatuato. “Ora vai a dirgli due cose… Ma sei matto, guarda quanto è grosso quello”. In campo io e Couto andavamo a minacce, io litigavo e lui menava, oppure il contrario. Perché se litigavo e menavo, l’arbitro mi dava giallo. Ora ogni contatto è fallo, non c’è più gusto».

IBRAHIMOVIC – «Ero andato a cercarlo nello spogliatoio ma non c’era. Dopo un anno sono diventato secondo di Mancio all’Inter e doveva venire Ibrahimovic. Branca mi disse che lui era titubante perchè c’ero e io e gli dissi che doveva parlare con lui, se faceva il bravo io mi comportavo bene. Da quella esperienze siamo diventati come fratelli».

FIORENTINA – «Mi sono divertito lì, se mi applaudono o fischiano mi fa piacere. A Firenze mi fischiavano i miei tifosi e mi dicevano di tutto. Lì ho menato uno in tribuna e uno in città. Quando sei dentro il campo e ti insultano, ok. Quando sei vicino non puoi fare finta di niente”».

ALLENARE NAZIONALE SERBA – «Il mio sogno era quello e l’abbiamo fatto bene visto che abbiamo fatto esordire tanti giovani come Kolarov e Ivanovic. Non abbiamo raggiunto l’obiettivo perchè avevamo un girone difficile con Croazia, Belgio e Galles. Chi è venuto dopo sono riusciti a qualificarsi al Mondiale».

BERLUSCONI – «Per me è stato un onore essere allenatore del Milan e conoscere Berlusconi. Tra di noi non è andato proprio bene forse per il carattere, visto che non mi faccio mettere i piedi in testa e lui vuole comandare. Il tempo passato con Berlusconi tra cene e racconti non potrò mai dimenticarlo. Per me è stato un periodo dal punto di vista personale molto bello, dal punto di vista sportivo non esaltante. Mi ha permesso di essere allenatore del Milan anche se il Milan di quegli anni non era quello degli anni precedenti. Ho mantenuto un ottimo rapporto con lui».

MALATTIA – «Un anno fa avrei pianto, ora cerco di non emozionarmi perchè ogni volta che si parla ripercorri tutto quello che è successo e lo stato d’animo rimane quello. Io sono fatto così, l’ho fatto a modo mio. C’è gente che si vergogna perchè è malata e non devono vergognarsi. Io volevo dirlo cosa mi stava succedendo, per non vergognarmi. Ho pianto diverse volte e all’inizio mi vergognavo ma poi alla fine ho scoperto che alla fine è giusto piangere. Quando sono andato a Verona con 15 kg in meno dove ero più vivo che morto, volevo far capire a tutti che non mi facevo lasciare sopraffare o che non vivevo normalmente. Quando mi sono visto in tv non mi sono riconosciuto ma era un’immagine di forza, di un uomo che lotta. Non devi mai perdere la voglia di combattere e non devi mai mollare. Ognuno di noi ha il proprio carattere, io mi sono comportato così perchè sono fatto così. Dopo due giorni non vedevo l’ora di iniziare la lotta contro la leucemia, facciamo a pugni e vediamo chi vince. Il mio messaggio era quello: se succede a me che sono grande grosso e allenato può capitare a tutti. Questa malattia non puoi prevenirla purtroppo, ma quando ti viene è normale che ti arriva la botta ma c’è una speranza. A me non è mai venuto il dubbio che non ce l’avrei fatta. Non mi aspettavo di ricevere tutto quell’affetto dalla gente, mi ha piacevolmente sorpreso. Nonostante il carattere che ho, c’è stata tanta gente che mi ha voluto bene».

PRIMA PARTITA A VERONA – «Io ogni mattina facevo esami del sangue, dopo un ciclo di chemioterapia ti ammazzano i globuli bianchi e tutto, poi devono risalire. Ogni cosa deve avere il suo tempo. Io giovedì avevo 250, sabato c’era la partita, quindi ho detto al dottore che non sarei stato così scemo da andare senza permesso. Il dottore ha capito che per me, dal punto di vista mentale, mi avrebbe aiutato molto di più. Mi ha detto se tu superi 500 globuli bianchi io ti lascio, anche se sono pochissimi. Io mi sono messo a piangere, gli ho detto che avrei parlato con i globuli bianchi. Al sabato mattina ne avevo 450… Mi sono di nuovo messo a piangere, “Se io rimango qui muoio, se esco vedrai che ho 100 mila globuli bianchi”. Ha capito la mia richiesta e mi ha lasciato andare. Era la prima volta dopo 40 giorni che facevo una camminata. Dalla stanza da letto a prendere la macchina ci ho messo mezz’ora, facevo due passi e mi mettevo seduto. Avevo giramenti di testa e tutto»