Prohaska e il ricordo italiano: «A Roma sono diventato una leggenda» - Calcio News 24
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Prohaska e il ricordo italiano: «A Roma sono diventato una leggenda»

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Herbert Prohaska ricorda l’Italia e la Serie A: «Via da Roma per una pallonata a Liedholm? No, in realtà…»

Herbert Prohaska avrebbe dovuto fare il meccanico. Per un po’ si è guadagnato da vivere riparando auto, poi ha svoltato. Il papà, un manovale appassionato di pallone, lo portava su un campo quando Herbert aveva 4 anni e il bambino, istintivamente, si metteva a giocare. È servito: è stato per due anni all’Inter vincendo la Coppa Italia 1982, poi è passato alla Roma e si è preso uno scudetto. In quegli anni, un personaggio di culto. Aveva i baffoni ed era considerato uno da slow foot, da tecnica a ritmo lento: regista cerebrale. Non per caso allenò la nazionale e l’Austria Vienna, che ieri ha giocato con il Milan. Per Prohaska, un derby: l’Austria Vienna è la squadra che guardava nei sabato pomeriggio da bambino, la squadra in cui ha giocato e che ha allenato.

RICORDI – Parliamo di nostalgia da ex. Che effetto fa l’Inter da Vienna? «La guardo ogni volta che posso. Spalletti è un grande allenatore e l’Inter può vincere lo scudetto. Per me dietro la Juve c’è lei, al massimo assieme a Roma, Napoli, Milan e Lazio». Cosa è cambiato dagli anni ’80? «Tutto. Io sono stato il primo straniero alla riapertura delle frontiere. Quando arrivai, mi portarono a San Siro per una foto con un violino in mano: il classico austriaco. Ero uno straniero in mezzo a 25 italiani. Ora magari ci sono tre italiani, tutti stranieri e un proprietario cinese. Ma l’Inter resta uno dei più grandi club al mondo». Eriksson invece nell’autobiografia ha scritto che lei lasciò Roma perché colpì Liedholm con una pallonata e lui non la perdonò. L’austriaco smentisce a “La Gazzetta dello Sport”: «Falso. L’ho colpito davvero ma lui, anche con un occhio gonfio, mi trattò come sempre. In realtà andai via perché Falcao trovò un nuovo accordo e il presidente Viola aveva già preso Cerezo. C’era posto solo per due di noi, mandarono via me». Che ricordo resta? «Bello, a volte mi chiamano ancora. A Roma sono diventato una leggenda in un anno, nessun altro ha fatto così».