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2013

Quando eravamo O Rey

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Gli straordinari anni del Catanzaro in Serie A: Palanca, Chimenti e un calcio che non c’è più

4 MARZO ’79 – In quel pomeriggio assolato di marzo girarsi verso il tabellone dell’Olimpico è una delle cose che lasciano più di stucco. Sullo schermo, in bianco, la scritta Roma è accompagnata da un 1 e dal nome Di Bartolomei. Se però si guarda mezzo centimetro più a destra si legge Catanzaro. Catanzaro 3, quasi come un taxi. Catanzaro 3 Palanca Palanca Palanca. E’ il 4 marzo 1979, Lucio Dalla festeggia trentasei anni, il papa polacco pubblica l’ultima fatica Redemptor Hominis e il calcio italiano sbalordisce. Perché, sembrerà strano, ma c’è stato un periodo in cui i giallorossi che vincevano erano quelli del Catanzaro e in cui il sinistro migliore della Serie A ce l’aveva un marchigiano, tale Massimo Palanca, directly from Loreto.
PALANKA – Sfogliando l’album Panini di quegli anni, colpiva il faccione baffuto di questo attaccante classe 1953 dal cognome quasi totemico, Palanca, anche se con la K, Palanka, forse avrebbe mietuto più vittime di quante in realtà ne ha fatte nel corso della sua carriera da calciatore professionista. Dopo la gavetta con Camerino e Frosinone, il Nostro è approdato nel posto migliore per uno come lui, vale a dire Catanzaro. Gli eroi diventano eroi anche in relazione al loro habitat, prendete Batman e mandatelo a Lamezia, oppure prendete Superman e catapultatelo a Grosseto, chi se li filerebbe? Palanca a Catanzaro ha trovato la sua Gotham City, la sua Metropolis dove combattere e rendere giustizia per migliaia di tifosi delle Aquile del Sud. Ha un sinistro sopraffino Massimo, non è altissimo – quasi un metro e settanta – ma con il piede mancino può fare quello che vuole. O Rey lo chiamano i tifosi, il re, e i soprannomi non vengono scelti a caso.
GOL OLIMPICO – Quando Palanca arriva in Serie A Maradona ancora deve diventare Maradona, e il Pibe de oro del nostro futbol è questo baffone che ha il 37 di piede. I portieri lo temono, normalmente se un attaccante tira e l’estremo difensore devia in corner allora si può tirare un sospiro di sollievo, pericolo sventato. Non con lui, perché lì inizia il bello: Palanca posiziona la palla vicino alla bandierina e segna. Sì, segna. Direttamente da calcio d’angolo. Ci riuscirà Baggio, lo farà Recoba e persino Stankovic, ma Palanca lo fa meglio, e addirittura per ben tredici volte in carriera, mostruoso. La fisica ha compiuto passi da gigante nel corso del ventesimo secolo ma ancora c’è chi non riesce a capire, Palanca è soggetto di studi nelle più grandi facoltà americane e tedesche e il suo gol dalla bandierina è un fenomeno inspiegabile quanto il riporto di Pippo Baudo. Anche in quel pomeriggio del 1979, a Roma, Massimo ha beffato il portiere dalla linea di fondo, un gol de espiritu come dicono in Brasile, perché gli spiriti spingono la palla in porta, più propriamente un gol olimpico. Un gol olimpico all’Olimpico.
RE CARLO – In panchina, a meravigliarsi di tutto questo, c’è un allenatore che si chiama Carlo Mazzone, e qualche anno più tardi diventerà famoso per aver visto dalla panchina ben settecentonovantacinque gare della massima serie. Gongola Carlo Mazzone, perché quel Palanca lì non se lo possono permettere in tanti, il sinistro di Dio prima ancora di quell’argentino che infiammerà il Sud quasi dieci anni dopo. Quel Catanzaro si piazzerà nono a fine stagione, e addirittura nelle annate successive si toglierà lo sfizio di finire il campionato alla settima posizione, oggi da settimi si va in Europa o quasi.
 
IL PINO – In quegli anni lì il pino marino nella curva dei tifosi del Catanzaro al Nicola Ceravolo (all’epoca Comunale) è sempre bardato a festa, i giallorossi sono la vera rivelazione di quel periodo e giocano un calcio che difficilmente si vede attuare nelle piccole. Non solo Palanca, nel 1979-80 arriva un certo Vito Chimenti, l’uomo della bicicletta. Nome da ferrotranviere ma padre dei vari Leandro Damiao e Djalminha: Chimenti per primo ebbe la splendida idea di farsi passare la palla da dietro sopra la testa con la magia del tacco, qualcosa di straordinariamente fuorviante anche se fatta al Partenio o al Melani e non al Bernabeu. Eppure, basta guardarlo questo Chimenti. Capelli radi, baffoni setolosi e physique du role da sosia di Renzo Montagnani. Eppure palla al piede era eccezionale, qualcosa di inspiegabile. Eroe romantico in seguito della Pistoiese, miglior marcatore in A degli arancioni con 9 reti, e c’è gente che è entrata nei romanzi di Dickens per molto meno.
 
GENERAZIONE FELICE – I baffi sono una prerogativa importante negli anni settanta, anni addietro Giampiero Yosemite Sam D’Angiulli guidava al difesa giallorossa nel biennio 1971-73. Qualche stagione dopo Palanca e Chimenti ne hanno ereditato le fortune e hanno accompagnato o svezzato a loro modo una generazione di talenti del calcio italiano: Edi Bivi, autore di un gol vittoria a San Siro col Milan, Massimo Mauro, commentatore sportivo che non usa il congiuntivo, Claudio Ranieri, allenatore di una squadra ricca. Adesso però quell’epoca è passata, i gol da calcio d’angolo li fa pure Wome e la bicicletta si chiama lambreta e ha una maglia personalizzata, se entri in campo con dei baffi da sparviero ti guardano tutti male e il pino al Ceravolo non c’è più.
 
TITOLI DI CODA – Chimenti, oltre ad aver avuto un nipote portiere della Juventus, adesso fa il collaboratore sportivo, D’Angiulli invece si è ritirato da tempo. Mazzone ha battuto ogni record di presenze in Serie A come allenatore ma non ha mai alzato nessun trofeo. Il Catanzaro, squadra simbolo del calcio italiano anni ’70-’80, è stato dichiarato fallito e poi rifondato e è finito nei bassi fondi dell’allora C1 e oggi Lega Pro, dove è arrivato decimo in prima divisione. Palanca, O Rey Palanca, ha smesso di essere il più bel sinistro che il pallone italiano ricordi (cit.) ma ha ancora nelle orecchie il coro Massimè pari ‘na molla che gli tributavano i tifosi calabresi. Ha messo al chiodo la maglietta numero undici e adesso gestisce una boutique con la moglie a Camerino. Porta ancora il 37 di piede.