Un’impresa riconfermarsi: ma chi l’ha detto? - Calcio News 24
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2014

Un’impresa riconfermarsi: ma chi l’ha detto?

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La rovinosa caduta della Spagna: deficit di personalità, c’è chi ha fatto tre finali mondiali consecutive

SPAGNA CILE BRASILE 2014 MONDIALI – Arriva per mano del Cile di Jorge Sampaoli la parola fine alla dinastia spagnola regnante negli ultimi sei anni calcistici: due titoli Europei – nel 2008 in Austria/Svizzera e nel 2012 in Polonia/Ucraina – intervallati dal primo Mondiale della storia iberica vinto nel 2010 in Sudafrica. Ora una clamorosa eliminazione al girone: è un complessivo 1-7, frutto dell’1-5 subito dall’Olanda e dello 0-2 inflitto dal Cile – a riportare di schianto la banda Del Bosque sul pianeta Terra.

CONFERME MONDIALI – Non è scritto da nessuna parte che una nazionale, dopo aver vinto un Mondiale, debba poi essere eliminata al primissimo turno: se è accaduto – oltre al fresco caso spagnolo – all’Italia nel 2010 dopo il trionfo tedesco del 2006 e alla Francia nel 2002 dopo la vittoria casalinga nel 1998, è altrettanto indubitabile l’esistenza di fattispecie totalmente opposte. Il Brasile nel 1994 ha vinto la Coppa negli Stati Uniti e si è poi riconfermato nella seguente edizione perdendo soltanto in finale dalla Francia, addirittura vincendo ancora nel 2002 in Corea del Sud/Giappone (tre finali consecutive). Tripletta consecutiva di finali infilata anche dalla Germania: sconfitta nel 1982 dall’Italia e nel 1986 dall’Argentina, si rifece proprio sui sudamericani nello scenario di Italia ’90. Addirittura numerosi poi i casi di doppia finale consecutiva: Italia nel ’34 e nel ’38 (entrambe vinte), Brasile nel ’58 e nel ’62 (entrambe vinte), Olanda nel ’74 e nel ’78 (entrambe perse), Argentina nell’86 e nel ’90 (una vittoria ed una sconfitta).

LA CADUTA DEGLI DEI – Questa Spagna dunque, a livello di competizione mondiale, rientra nel gruppo di chi non soltanto non è riuscito a confermarsi ma ha anche toppato clamorosamente il successivo impegno. Non soltanto la mancata finale insomma ma una rovinosa caduta all’orizzonte. Agevole a posteriori analizzarne le cause: calo di fame agonistica – fattore che denota un deficit di personalità: perché tanti altri come dimostrato in precedenza sono riusciti a riconfermarsi? – e squadra apparsa sottotono essenzialmente in termini atletici, visibile la difficoltà nel reagire agli eventi della partita. La sensazione forte è stata quella di un’eclatante impotenza. Una colpa non può essere addebitata al commissario tecnico Vicente Del Bosque: quella di non aver cambiato le carte in tavola.

IL PIANO B – La guida del primo Mondiale iberico aveva fiutato il pericolo insito nel ripresentarsi agli occhi del mondo con un’immutata proposta calcistica e a suo modo ha osato: ha spinto per la naturalizzazione di Diego Costa per costruire una Spagna in grado di appoggiarsi ad un vero centravanti di ruolo e dunque eludere – almeno in via obbligatoria – quella rete di passaggi che l’ha resa grande nel recente passato. Di fatto spostare gli equilibri del gioco su una modalità più classica: un riferimento avanzato da servire in profondità o che fungesse da boa per favorire gli inserimenti dei centrocampisti. Non ha funzionato, ma non perché chi di dovere non abbia cambiato. La realtà è palese: a non funzionare è stata la testa. Ed è lì che probabilmente Del Bosque non ha saputo agire. Dopo Re Juan Carlos abdica anche la Spagna: una generazione di fenomeni, ancora mediamente giovane, va incredibilmente a casa come un gruppo di bolliti. E non scrive la storia.