Piqué, il presidente dei catalani
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Piqué, il presidente dei catalani

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Con il suo addio al calcio giocato, Piqué inizia la sua scalata alla presidenza del Barcellona: un’ambizione mai nascosta

La decisione di Gerard Piqué di ritirarsi ha colto tutti impreparati. Dai suoi compagni di squadra fino alla dirigenza, che però è stata molto sveglia e reattiva nel decidere di risolvere il suo contratto il più in fretta possibile (di questi tempi di vacche magre a Barcellona…).

Dopo l’addio al Barça la domanda di tutti è stata ovvia: e adesso? Cosa farà il difensore campione di tutto con le maglie del club e della nazionale? Difficile immaginarselo come allenatore. Un lavoro artigianale, che richiede pazienza nel mettere insieme la materia a disposizione, provando sbagliando e riprovando fino ad ottenere il risultato finale. Sarebbe logico pensare che un allievo di Guardiola, il capo della setta alchemica dei tecnici, voglia seguire le orme del suo mentore, ma in Spagna sono sicuri: non vuole fare l’allenatore. Vuole fare il presidente. Dei catalani.

Ma di quali? Di tutti i catalani o quelli in maglia blaugrana? Entrambe le vie sono percorribili.

IL POLITICO

La guerra in Ucraina ha cambiato la visione del conflitto in Europa, ma è bene ricordare che nel 2017 la tensione in Catalogna per il referendum era molto alta. Con il perseguimento politico di Puidgemont, la Guardia Civil ad impedire il voto e gli scontri nelle strade, Piqué si faceva fotografare al seggio, sorridente nell’atto di votare come un capo di stato. La punta di un iceberg fatto di dichiarazioni a mezzo stampa o su Twitter con cui promuoveva il referendum, rendendolo di fatto il secondo personaggio pubblico più coinvolto dopo il presidente del parlamento catalano.

È possibile che decida di perseguire la via della politica, diventando la voce della Catalogna come entità politica sovrana ed indipendente dalla Spagna?

È complicato ma non del tutto impossibile. Il vero dubbio è: può accettare di diventare il Don Chisciotte della causa indipendentista e combattere i mulini delle regole europee che hanno reso nullo il referendum del 2017? O l’uomo di campo avrà la meglio?

Allora per diventare il presidente dei catalani, la via è segnata: il Camp Nou.

IL PRESIDENTE

L’ambizione è sempre stata quella, fin da una intervista nel 2011 al Mundo Deportivo, giornale catalano e barcellonista in cui ammetteva l’interesse a succedere già a Rossell alla presidenza. E negli anni a seguire si è mosso in quella direzione. Nel 2017, mentre il mondo calcistico si preparava alla finale di Champions League tra Real Madrid e Juve, lui non era sicuro di poterla vedere perché: «starò seguendo un corso ad Harvard». E dopo il pezzo di carta, è passato ai fatti, creando una sua identità politica e da uomo d’affari.

Come politico ha il suo programma già pronto: ha cercato di convincere i compagni a decurtarsi lo stipendio per trattenere prima Neymar e poi Messi, ha parlato contro la Superlega e livelli più alti ha suggerito la riforma della lotteria dei rigori. Da uomo d’affari detiene i diritti del campionato francese per la Spagna e in estate ha cercato di comprare parte delle quote dei Barça Studios.

E ora il video del suo ritiro, che in Spagna hanno già analizzato, rivoltandolo come un guanto. E allora non stupisce che al volveré lo sguardo indugi sul palco dirigenziale del Camp Nou.

Non stupisce nemmeno che l’addio arrivi il giorno in cui in Spagna passa la Ley del Deporte, che impedisce ai calciatori di avere rapporti commerciali con le competizioni in cui partecipano.

Il bambino che sognava di giocare nel Barcellona, adesso è un uomo che sogna di essere il salvatore di una squadra in crisi con i conti in rosso.

Gerard Piqué, il presidente dei catalani.