2013
Roma, lambizione ha superato il talento
Un fallimento clamoroso senza nulla da salvare
Seconda stagione sotto la guida della proprietà americana, sotto la gestione Baldini-Sabatini ed è ancora un clamoroso fallimento, il cui epilogo si è consumato domenica con la sconfitta nella finale di Coppa Italia in favore dei rivali cittadini della Lazio. In due anni un settimo ed un sesto posto che si traducono nella mancata qualificazione alle competizioni europee e nella frustrazione di una piazza che attendeva sicuramente altri scenari.
LE PROMESSE E L’ATTESA DEI TIFOSI – Il nuovo ciclo statunitense non ha promesso la luna al suo approdo in Italia, ma piuttosto un progetto a medio termine fondato sulla ricostruzione della squadra previo innesti di giovani talenti di qualità, valori aggiunti nel presente e potenziali campioni nel futuro. E dunque non immediate vittorie, ma lo sviluppo di un progetto destinato a primeggiare dopo un tempo di assestamento. Ed è vero: sono arrivati calciatori importanti sui quali fondare le basi del futuro – vedi Pjanic, Lamela, e prospetti alla Marquinhos o Destro – ma la Roma non ha mai dato l’impressione di essere una squadra e scendere in campo come tale, palesando un difetto di personalità tanto imbarazzante da chiamare in causa tutti. I giocatori, i tre allenatori che si sono susseguiti alla guida tecnica della squadra, una dirigenza imprevedibilmente lacunosa e una proprietà presente più sotto altri aspetti – vedi cura del brand e sviluppo del merchandising – che invece nella vita quotidiana della squadra.
LA RIPARTIZIONE DELLE RESPONSABILITA’ – La dirigenza, innanzitutto: la scelta di allenatori rischiosi quali Luis Enrique e Zeman non è stata poi sostenuta con altrettanta coerenza, vedi l’imbarazzante conferenza stampa in cui il direttore sportivo Walter Sabatini confessò alla stampa di pensare all’esonero del tecnico boemo. Un anticipo di licenziamento in diretta tv, roba mai vista. Né sono state edificate squadre perfettamente in linea con i dettami tattici dei due allenatori, completamente in opposizione tra di loro nonostante lo stesso modulo, un 4-3-3 interpretato dallo spagnolo in chiave orizzontale e dal boemo in verticale. Detto di una presenza non efficace da parte della proprietà, non sono esenti da colpe le guide tecniche: storia passata quella dell’inesperto Luis Enrique, Zeman ha il demerito di aver insistito oltre l’evidenza su profili alla Goicoechea o Tachtsidis, rivelatisi del tutto inadeguati. Le responsabilità dei calciatori: molti nuovi arrivi sovrastimati – Piris, Castàn, Dodò, Balzaretti su tutti, ma le colpe sarebbero da addebitare a chi li ha scelti – ma ciò che è emerso con irruenza è un deficit di personalità spaventoso di un organico che si è costantemente sfaldato di fronte alle difficoltà del percorso.
DA DOVE SI RIPARTE – Da un allenatore normale. Non che Luis Enrique e Zeman non siano tecnici rispettabili – zemaniano di ferro chi scrive questo editoriale – ma, dopo due rischi piuttosto accentuati, la Roma ha bisogno di una guida tecnica che faccia le cose normali. Vertici societari: è probabile che Baldini si assuma ancora una volta le responsabilità del fallimento in prima persona e rimetta le dimissioni alla proprietà, così come è altrettanto prevedibile che tali dimissioni siano respinte e che si punti ancora sull’attuale direttore generale e sull’operato di Walter Sabatini in qualità di direttore sportivo. Fondamentale rinforzare una difesa (con calciatori affidabili e già vicini alla cultura calcistica italiana) che ha subìto 56 gol ed i cui demeriti vanno oltre il calcio spregiudicato di Zeman: i rendimenti sono migliorati solo in minima parte dopo l’avvicendamento sulla panchina giallorossa. L’ambizione di primeggiare azzardando si è rivelata smisurata, o forse semplicemente al dì sopra del talento: è l’ora dell’umiltà, quella di fare cose normali.