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Il Sassuolo di Allegri come il Foggia di Lippi

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Lo Scudetto senza precedenti bianconero, c’è un solo paragone…

Raramente la narrazione di uno scudetto non deciso all’ultima giornata ha avuto così tanta uniformità. Lo storytelling dello scudetto juventino trova tutti concordi nel considerare la sconfitta con il Sassuolo della decima giornata, con il conseguente discorso a cuore aperto di Gigi Buffon, come il punto della svolta. Del resto, oltre al significato morale di quella presa d’atto – rafforzata anche da Patrice Evra, che ricordò come l’idea dell’impresa storica del quinto tricolore consecutivo dovesse funzionare da motore per la possibile rimonta – i fatti parlano chiaro e le cadenze temporali sono tali da non potersi non imporre. Il bello del calcio sta oltre ogni misura nell’esattezza e nell’inappellabilità dei risultati. Perciò, non stupisce che nell’immaginario collettivo e nell’esposizione dei fatti da parte dei giocatori della Juve quella serata di Reggio Emilia si unisca al gol di Cuadrado nel derby come la fase determinante dell’annata, perfettamente spiegata poi dalle 24 affermazioni in 25 partite. Qualcosa che anche solo a dirlo colpisce sempre, a prescindere dall’urgente necessità del recuperare posizione su posizione per riaprire concretamente prospettive tricolori. Senza dimenticare il messaggio più forte che trasmise Massimiliano Allegri, un po’ dimenticato mediaticamente ed invece a mio avviso assolutamente convincente per un altro approccio alla vicenda: l’idea della corsa a cronometro. Lanciata all’epoca, quando si era dodicesimi e a -11, poteva anche sembrare un palliativo, una mera consolazione per non farsi deprimere dalla cruda verità della classifica. Ed invece, in quel fare appello a un percorso solitario, senza preoccuparsi della concorrenza e dei distacchi, il mister bianconero ha vinto lo scudetto della comunicazione (espressa anche con un sorriso e con la pacatezza dei modi, il che non guasta nell’ignoranza isterica imperante in questi tempi). E corsa a cronometro è stata, continuata anche dopo il sorpasso sul Napoli, confermando la legge di questo quinquennio dorato: quando la Juve si trova davanti, diventa praticamente imprendibile, imponendo distacchi che a conti fatti fanno impallidire l’idea che Garcia due stagioni orsono oppure Sarri quest’anno abbiano potuto alimentare il concetto di dualismo, che con distanze a due cifre alla conclusione del torneo vanificano ogni possibile recriminazione. Che peraltro il Napoli ha, sebbene non la ricordi più nessuno: in quell’unica pausa concessa dalla Juve a Bologna, gli azzurri avrebbero potuto effettuare il controsorpasso in casa contro i Milan, giocando dopo i bianconeri. L’1-1 di quella serata è la vera condanna della stagione partenopea, che resta di primissimo livello, a meno di un crollo sul filo di lana, a oggi impensabile per ragioni di calendario e anche di condizione fisica, fattori che vedono Higuain e compagni favoriti sulla Roma.

SASSUOLO COME FOGGIA – Questo scudetto non somiglia a nessuno dei precedenti. Forse solo il primo di Lippi – uno che sulla bontà dell’operato di Allegri non ha mai avuto dubbi e non credo per solidarietà “regionale” -: non per le condizioni di partenza, ma per avere avuto anche in quel 1994-95 una tappa di provincia significativa. Un punto di non ritorno che all’epoca maturò a Foggia, una sconfitta salutare, che diede la spinta per una sterzata a tutti i livelli, a partire dalla mentalità che divenne guerriera come non mai, contagiando ogni singolo interprete di quell’anno di totale rinascita. Altre similitudini non ce ne sono, se non l’esplosione attuale di Paulo Dybala alla stregua di quella di Alessandro Del Piero. Con la non lieve differenza che il più presente numero 10 della storia bianconera dovette affermarsi confrontandosi direttamente con la presenza di Roberto Baggio, laddove il ragazzo argentino che sta bruciando le tappe è assolutamente conscio – come hanno recitato le sue felici dichiarazioni nella festa di lunedì 25 aprile – con l’amore che il popolo bianconero ha riversato su Carlitos Tevez. Ma ho il sospetto è che quella nei confronti del suo predecessore fosse una passione matura, un sentimento che si ha verso i campioni che arrivano ad una certa età a prestare la propria opera. L’ex palermitano è invece una questione d’innamoramento sfrenato, appartiene alla genia di Omar Sivori, è invenzione di calcio infantile della quale raramente si ha una manifestazione così nitida e coinvolgente. Per questo lo scudetto numero 34 ha la sua faccia da bambino e il futuro dovrà avere anche la sua determinazione, visto che Paulo per primo ha fatto i calcoli, dichiarando apertamente che alla sua età Del Piero e Messi avevano già vinto una Champions League. Che sia questa la cornice della prossima narrazione juventina per il 2016-17?