Il genio invisibile: la leggenda di el Trinche Carlovich
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Il genio invisibile: la leggenda di el Trinche Carlovich

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Carlovich

La storia di Tomas “el Trinche” Carlovich: il calciatore leggenda dell’Argentina e di Rosario, che per Maradona fu il più grande che nessuno ha mai visto

Tuttosport oggi racconta una delle storie più incredibili del calcio argentino: Tomás “el Trinche” Carlovich, calciatore e fantasista, il campione che ha fatto del mistero la sua carriera.

A Rosario, negli anni Settanta, nessuno faceva tunnel. A meno che non incontrasse el Trinche. Lui li faceva doppi: avanti e indietro, con una naturalezza che sembrava magia. Nessuno capiva come ci riuscisse. Come il suo soprannome – “il Solco”, “il Taglio” – anche il suo talento sfidava la logica.

Nato il 19 aprile 1946 a Rosario, figlio di immigrati croati, Carlovich era più rosarino di chiunque altro. Giocava per amore, non per soldi. Capelli lunghi, barba incolta, classe pura. Cresciuto nel Rosario Central, venne lasciato libero e finì nella terza squadra cittadina: l’Atlético Central Córdoba, in seconda divisione.

La leggenda esplose nel 1974. Alla vigilia dei Mondiali, la Selección affrontò a Rosario una selezione locale allenata da César Menotti. Tra i convocati, un solo giocatore del Central Córdoba: el Trinche. Alla fine del primo tempo, la squadra rosarina vinceva 3-0. Carlovich bloccava l’Argentina e serviva assist dorati. All’intervallo, i tecnici della Nazionale chiesero di sostituirlo: stava umiliando la Selección. Dopo la sua uscita, finì 3-1.

Non andò mai ai Mondiali. Fu convocato una volta da Menotti, ma durante il viaggio per Buenos Aires vide delle trote nel fiume Paraná. Devìò e andò a pescare. Poi confessò: «Non ho mai preso una canna in mano».

Di lui dissero che portava a spasso la palla più che giocarla. Maradona, nel 1993, fu chiaro: «Il più grande che ha giocato a Rosario è Carlovich». E alla sua morte, nel 2020 dopo un’aggressione in bici, gli scrisse: «Sei stato più grande di me».

Come riportato da Tuttosport, oggi Carlovich riposa nella leggenda. Nessuna gloria, nessun trofeo, ma un amore eterno di chi lo ha visto incantare con un pallone tra i piedi.

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