2014
Manuale contro gli individualismi: il guardiolismo di Loew
Germania campione del mondo, alle radici dellincantevole successo tedesco. Altro che noiosi
GERMANIA CAMPIONE BRASILE 2014 GUARDIOLA – La Germania vince il suo quarto Mondiale della storia e raggiunge l’Italia nella speciale graduatoria. Alle spalle soltanto del Brasile penta-campione: è già record invece in termini di finali disputate – otto, verdeoro fermi a sette e nessun altro come i tedeschi – con il 50% di vittorie all’attivo (Svizzera ’54, Germania Ovest ’74, Italia ’90 e Brasile 2014).
PERCENTUALI PAZZESCHE – Le quattro sconfitte invece risalgono alle edizioni di Inghilterra ’66, Spagna ’82, Messico ’86 e Corea/Giappone 2002 ma a lasciare basiti è la percentuale di finali sul totale delle Coppe del mondo: otto finali in 19 campionati mondiali si traduce nel 42% di presenza nella gara decisiva. Il dato poi diventa disarmante se aggiungiamo le semifinali: in 13 occasioni su 19 la Germania è rientrata tra le prime quattro forze del Mondiale con una percentuale del 68%. La continuità e dunque il sapersi rinnovare e reinventare si impone come reale tratto distintivo di una nazionale che in tal senso non ha pari.
LE REAZIONI ALLE SCONFITTE – Appena dopo quanto asserito, e per certi versi aspetto strettamente collegato, viene la capacità di rialzarsi e dunque la personalità: la Germania ha disputato tre finali consecutive nell’arco temporale che va dall’82 al ‘90 perdendo le prime due e trovando coraggio e forza per vincere la terza. Nello scenario di Italia ’90 peraltro contro quell’Argentina che quattro anni prima l’aveva battuta. Ha per certi versi ripetuto l’assunto nell’ultimo decennio: i tedeschi hanno perso la finale in Corea nel 2002 contro il Brasile di Ronaldo, perso due semifinali consecutive – di cui quella storica tra le mura amiche del Westfalenstadion con l’Italia poi campione del mondo, l’altra nel 2010 dalla Spagna anch’essa campione, chi vince insomma deve passare sul cadavere tedesco – per poi trionfare in Brasile. Il valore del lavoro. Aspetto che si specchia alla perfezione in un Paese a cui è accaduto di tutto nell’ultimo secolo – nazismo, muro di Berlino e chi più ne ha ne metta – ma che ha sempre trovato gli elementi giusti per rialzarsi e tornare ai massimi livelli sociali, economici e creativi.
NOIOSI QUESTI? – Verrebbe da dire: vorremmo essere tutti noiosi come loro. Che lagna in effetti trionfare nella patria del futebol bailado dopo aver inflitto uno storico 1-7 al Brasile padrone di casa. E dopo aver superato in finale l’altra sudamericana di spicco. Ecco, va tutto contestualizzato: il tanto atteso Mondiale brasiliano è stato – anche mediaticamente – spinto sul binario di Brasile ed Argentina. Giusto così: se non è questo il loro Mondiale allora quale? Soltanto alla Germania poteva venire in mente di stravolgere lo spartito. Tanto di cappello.
L’INFLUENZA GUARDIOLIANA – Innegabile. Partiamo da lontano: Sudafrica 2010. Vince la Spagna per la prima volta nella sua storia e sette undicesimi (Piquè, Puyol, Busquets, Xavi, Iniesta, Pedro e Villa appena prelevato dal Valencia) appartengono al Barcellona di Pep Guardiola. Chiara influenza nel gioco della nazionale con il solito piatto di tiki-taka ed accelerazioni improvvise che ha garantito alla Spagna il titolo mondiale, intervallo di due campionati europei (2008, 2012). Ora l’allenatore iberico si è trasferito in Germania alla guida del Bayern Monaco e se può apparire logico che Loew abbia attinto con forza dal bacino Bayern – sei questa volta i titolari in finale: Neuer, Lahm, Boateng, Schweinsteiger, Kroos, Muller oltre al subentrante e match-winner Mario Gotze – meno scontato era che il commissario tecnico tedesco trovasse l’umiltà per adeguarsi al modello calcistico perpetuato da Guardiola. E dunque, nonostante ne avesse i mezzi, bando alla Germania tutto fisico e forza atletica, spazio ad una nazionale decisamente più qualitativa nelle idee e nella proposizione calcistica: possesso palla, alternanza di ritmo, mancanza di riferimenti. E’ vero, in tre occasioni è partito Klose da titolare ma questa Germania ha giocato per larghi tratti del suo Mondiale senza un vero centravanti di ruolo e non a caso ha vinto la finale proprio nel momento in cui ha lanciato Gotze da falso nueve e ritrovato quelle geometrie già architettate nel percorso di qualificazione a Brasile 2014. E’ lo spagnolo il tecnico più influente dell’ultimo decennio.
LA GRANDEZZA DI LOEW – Ma attenzione: questo nulla toglie al ct tedesco. Tutt’altro. Quanto appena illustrato potrebbe tradursi nel mancato riconoscimento di merito a chi è invece l’assoluto artefice di questa creatura vincente. Saper raccogliere dal mondo circostante e crearne virtù non è mai un segno di debolezza o scarsa personalità quanto di enorme intelligenza e forza d’animo. Loew aveva davanti a sé due strade: stravolgere il tutto in nome di un mal riposto protagonismo o carpire le risultanze fondamentali del suo campionato e con umiltà riproporne le caratteristiche essenziali. Se vi sembra scontato pensate invece a quei commissari tecnici che hanno agito in tutt’altro verso: bene, neanche il tempo di arrivare in Brasile e sono andati a casa. O anche se rimasti poi hanno collezionato figuracce. L’insegnamento che ci lascia in eredità una meravigliosa Germania è forse proprio questo: la scelta delle persone. Nella direzione dell’interesse della collettività e meno degli esasperanti ed esasperati individualismi.