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Buon compleanno a… Zlatan Ibrahimovic

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Zlatan Ibrahimovic

Oggi è il compleanno di Zlatan Ibrahimovic: lo svedese ha detto addio al calcio a giugno con gli ultimi anni al Milan

Oggi Zlatan Ibrahimovic compie 42 anni. Immaginiamo, se si conosce un minimo la sua personalità, che la ricorrenza non passerà inosservata. Ma è anche altrettanto certo che capire in anticipo che cosa combinerà è praticamente impossibile: da sempre Ibra è uno che vive per sorprendere, compreso il fatto che nell’imprevedibilità c’è la sua condizione naturale, ha sempre l’aria di chi non potrebbe vivere diversamente. Anche se col tempo, certo, ha imparato a smussare certi aspetti e a colorare d’ironia la sua leggenda. Lasciandoci il sospetto che lo faccia con quel tanto di concessione che è tipica per l’appunto di Dio o di chi ritiene di esserlo o che comunque, eventualmente, solo Lui lo possa giudicare, come da frase che si è tatuato in inglese sul fianco sinistro.

C’è un bellissimo articolo di Fabrizio Bocca sui La Repubblica che risale al 2009. Il titolo è: «Ibra, il dottor House del calcio ricco, goleador e insopportabile». Da allora di acqua ne è passata sotto i ponti e di avventure e club e gol e vittorie tantissime. In quel momento lo svedese giocava nell’Inter, dopo avere lasciato la Juve incenerita da Calciopoli. E a chi gli ha dato del traditore per anni, e a quelli che ancora sono lì a rinfacciarglielo, lui risponde in ogni libro che scrive rivendicando quei due scudetti vinti a Torino e dissolti dalla giustizia sportiva, molto più di certi compagni del tempo e anche di alcuni che pure sono rimasti in quel periodo alquanto tempestoso.

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C’è stato tanto, tantissimo, ma mai la sensazione del troppo nel racconto delle sue gesta. E se è successo questo miracolo, se non ci siamo mai stancati di metterlo a fuoco, di scrivere di lui e guardarlo in azione, è perché forse c’è un semplice motivo, che ogni grande narrazione richiede: che fosse il Barcellona di Guardiola o il Milan di Allegri, la Francia, l’Inghilterra o gli Stati Uniti, fino al ritorno in rossonero, Ibrahimovic ha occupato la scena, si è messo al centro, si è fatto totem di se stesso.

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Molto più di un semplice protagonista ingombrante, egocentrico, esagerato e narcisista. Che già basterebbe per chiederci quanti suoi colleghi siano stati capaci di altrettanto. Con la stessa inguaribile faccia tosta e un corpo che, invece di dare segni d’invecchiamento, è sembrato sempre di più trasformarsi in icona, segno grafico, fino a farci cascare nello splendido tranello degli ultimi anni: più era infortunato, più si spettacolarizzava il lavoro fisico, a osservarlo in certi esercizi ci si chiedeva come riuscisse a lavorare così tanto in palestra dato che poi la domenica non giocava e le domeniche diventavano anche mesi.

Ecco, poche cose come quel pezzo di Bocca riproducono la percezione che avevamo un po’ tutti di Ibra e quanto tempo sia trascorso. Sarebbe un bel gioco della memoria chiedersi oggi chi sottoscriverebbe una serie di affermazioni come quelle che allora sembravano l’esatta istantanea del personaggio: «Non è il bravo e devoto Kakà, non fa pubblicità alla minerale diuretica come Del Piero. Lui è cool, un cattivo trendy, gira spot col Dr. House e Uma Turman. È scontroso, antipatico, irascibile, dispettoso e insopportabile in campo, presuntuoso fuori. A un cronista di Sky che gli chiedeva di malumori e voci di addio ha risposto così: «Quanto ti vedo mi viene il mal di pancia».

Quanto ha inciso il suo addio nel cambiare definitivamente la sua immagine? La domanda andrebbe girata ai creativi delle case pubblicitarie che da tempo gli regalano – il verbo non è esattamente quello più idoneo – altro palcoscenico su cui esibirsi. La prevedibile risposta sarebbe che non hanno avuto bisogno di quegli occhi lucidi perché la “simpatia” di Zlatan aveva già bucato l’immaginario collettivo.

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Come ha dimostrato la sua ultima conferenza, quando ha parlato anche di Mino Raiola, anzi, direttamente a lui, facendo ridere di una persona scomparsa come straordinario atto di amicizia. Come un vero maestro della comunicazione, che è a suo agio a Sanremo come da Fazio, un po’ per quell’italiano bizzarro che parla e che fa sì che tutto sembri una sentenza o forse perché davvero lui è uno che ha in testa solo frasi come se fossero Comandamenti, altrimenti non sarebbe Dio, ma soprattutto Ibra.