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Conti racconta: «Il Cagliari è sempre stato la mia Nazionale! Cellino aveva fiducia in me. Il cognome? Avere un papà così è stato scomodo. Su Astori…»
Conti si è raccontato a La Gazzetta dello Sport su quella che è stata la sua carriera a Cagliari e quel cognome tanto pesante portato sulle spalle
L’edizione odierna de La Gazzetta dello Sport ha dedicato ampio spazio ai ricordi di Daniele Conti, storico centrocampista e simbolo del Cagliari. L’ex capitano, classe 1979 e figlio d’arte L’edizione odierna de La Gazzetta dello Sport ha dedicato un ampio approfondimento ai ricordi di Daniele Conti, classe 1979, simbolo assoluto del Cagliari e figura tra le più amate nella storia recente del club. Figlio d’arte di Bruno Conti, uno dei più grandi talenti della scuola romanista, Daniele ha raccontato con sincerità i momenti più intensi del suo percorso, dall’esordio nella Capitale fino alla consacrazione in Sardegna.
Cresciuto nel settore giovanile della Roma, dove debutta giovanissimo in Serie A, nel 1999 si trasferisce al Cagliari. Da lì inizia una storia destinata a durare 15 anni: un totale di 470 presenze, 52 gol e 32 assist in maglia rossoblù, numeri che lo collocano tra i giocatori più rappresentativi della storia isolana.
Conti non è stato solo un centrocampista di qualità e visione, ma anche un leader, un simbolo identitario e un riferimento per generazioni di tifosi. La Sardegna lo ha accolto, lui l’ha scelta, e quel legame non si è mai spezzato.
PAPA’ BRUNO – «Assolutamente. Avere un papà così è stato scomodo. Devi andare al doppio degli altri per toglierti l’etichetta del raccomandato e del “figlio di”. A Roma poi, ancora peggio. Io in giallorosso ho esordito in Serie A, ma poi sono stato contento di andare via. Avevo bisogno di fare il mio percorso».
ESULTANZA OLIMPICO – «Mi incolpavano di aver esultato troppo sotto il settore ospiti. Ma non mi pento di nulla, i cagliaritani sono la mia gente e io in quel momento rappresentavo loro. La Roma, mio padre e tutto il resto non c’entrano. Mi diedero del traditore, invece il mio era semplicemente amore incondizionato per una terra».
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