2013
In medio stat virtus
I casi di Giampaolo, Gattuso e Di Canio e un’analisi dei tecnici moderni, soprattutto italiani
TECNICI MODERNI – Marco Giampaolo, Gennaro Gattuso e Paolo di Canio: tre allenatori italiani che, non si direbbe, hanno molto in comune. Negli ultimi tre giorni hanno fatto scalpore in tre modi diversi, Giampaolo è sparito e poi si è dimesso dal Brescia, Gattuso ha perso la terza gara su sei a Palermo e Zamparini non l’ha perdonato, infine Di Canio è stato esonerato dal Sunderland soprattutto grazie al nullaosta dei suoi giocatori. La cosa che però accomuna i tre è l’appartenenza a una tipologia di allenatore che si è di gran lunga affermata in Italia, anche se parlare di unica tipologia è errato. Oggi, nel nostro Paese specialmente, i tecnici si dividono per lo più in due categorie che potremmo chiamare “i grandi intenditori di calcio” e “i motivatori“. Bene, si può appartenere a una specie come a un’altra, rimane il fatto che il solo far parte di una di queste etichette è sinonimo di incompletezza e da che mondo è mondo quando si è incompleti non si è vincenti.
I GRANDI INTENDITORI DI CALCIO – Forse è meglio spiegare più nel dettaglio. Prendiamo ad esempio “i grandi intenditori di calcio”, visto che Coverciano ne ha sfornati moltissimi negli ultimi anni. Lo stesso Marco Giampaolo è senza dubbio uno dei mister più preparati dal punto di vista tattico, potrebbe discernere di moduli per ore senza annoiare e ha dato la vita per il calcio, inteso proprio come 4-4-2, contropiede, marcatura a zona o via discorrendo. A livello teorico Giampaolo ne sa tantissimo, è uno dei migliori, ma qui viene fuori il vero difetto perché l’ex delle rondinelle – e come lui molti altri – non ha carattere. Sì, si dirà che è una persona integerrima e su questo non discutiamo, però la fuga da Brescia e dalla contestazione popolare senza lasciare traccia dà un quadro molto triste del mister abruzzese. Il calcio italiano sarà pure in mano agli ultras, alcuni presidenti si comporteranno come dei terroristi del pallone, ma comunque non si fugge così davanti ai problemi. Il calcio, bene ricordarlo, non è solo schemi da palla inattiva o inserimenti dei centrocampisti, è anche di più, è qualcosa che si gioca molto con le gambe e con il cervello ma alla fin fine anche col cuore. Vuoi per timidezza o per deformazione professionale “i grandi intenditori di calcio” questo non lo capiscono: Marcolin infatti è ultimo col suo Padova, Di Carlo potrà anche riempire fogli con tutti gli schemi che vuole ma non allena da quasi un anno e mezzo, Gasperini non riesce a tenere uno spogliatoio da tre anni. Ottimi tecnici, ma non ottimi allenatori.
I MOTIVATORI – Non va meglio ai colleghi “motivatori”. A questa categoria appartengono molti dei calciatori che hanno appeso di recente gli scarpini al chiodo. Sono persone che in campo si sono sempre distinte per prestazioni grintose, partite giocate prima con il sentimento e poi con i piedi, gente che nelle interviste pre e post partita ha tirato sempre fuori – e continua a farlo come mister – frasi tipo «Dobbiamo avere gli occhi della tigre», che vogliono dire tutto ma soprattutto non vogliono dire nulla. Occhi della tigre o meno, caro Gattuso, si vince anche giocando a calcio. E’ inutile sempre cercare di trarre la cattiveria e lo spirito di sacrificio dei calciatori, soprattutto in un’epoca dove gli stessi si distinguono per ignoranza ed inedia, perché a passare da motivatore a despota il passo è breve. Con il passare degli anni il pallone è diventato anche psicologia, lo studio dell’avversario viene fatto in maniera molto ponderata e le sfide diventano quasi partite a tennis dove prevale la componente mentale. I “motivatori” cercano troppo spesso l’alchimia giusta nello spogliatoio, entrano in una squadra e fanno un colpo di stato ergendosi a colonnelli da seguire, ma poi alla fine dei giochi non ottengono risultati, vedi Ravanelli all’Ajaccio oppure l’ultimo Malesani.
VOGLIAMO I COLONNELLI – Ne è un esempio anche Paolo Di Canio, esonerato dai suoi giocatori prima che dalla dirigenza. Tralasciamo le questioni politiche, che hanno accompagnato in maniera piuttosto negativa l’arrivo del romano al Sunderland e molto probabilmente ne hanno anche un po’ compromesso l’adattamento. Di Canio ha sempre avuto una personalità forte, è un duro come il sergente di Full Metal Jacket. Nella prima esperienza allo Swindon si è guadagnato l’amore e la stima dei tifosi con una promozione e una squadra della quale lui non era solo il tecnico, bensì un condottiero morale e spirituale. Passare però in Premier League alla prima vera esperienza da manager è stata dura anche se l’esordio dello scorso anno aveva fatto ben sperare. Anche qui gli errori sono stati molteplici: Di Canio ha voluto in mano lo spogliatoio, ci ha sempre messo la faccia ma ha continuamente criticato i suoi prima davanti alle telecamere e poi in privato, cosa che ha fatto infuriare i Black Cats. Logico poi che i risultati non arrivassero, mentre lui se ne andava sotto lo spicchio di tifosi biancorossi con la mano sotto il mento ad indicare lui sì ci aveva messo la faccia, mentre i giocatori, Giuda d’un Giuda, si erano tirati indietro. Qui si va oltre il “motivatore” in sé per sé, si va sullo scaricabarile, che è anche peggio.
LA VIRTU’ STA NEL MEZZO – Allora cosa deve fare un tecnico per essere vincente o comunque rimanere saldo su una panchina? Se sapessimo la risposta la venderemmo a peso d’oro cari amici, ma comunque l’unica certezza è che la virtù sta nel mezzo. Il tecnico moderno (soprattutto italiano) come categoria ha i due sottoinsiemi sopra indicati, ma qualora riuscisse a trovare un’intersezione tra le due componenti citate – e con questa poi smettiamo con l’aritmetica – allora avrebbe trovato la giusta distanza per poter essere se non l’allenatore perfetto ma comunque un buon coach. Antonio Conte, Jurgen Klopp e Diego Pablo Simeone sono tre fulgidi esempi, tre tecnici che hanno saputo coniugare a una giusta e nuova idea di calcio la propria personalità forte e il proprio spirito da leader. Ma senza andare a cercare nomi troppo noti anche un semplice, senza offesa, Beppe Iachini è perfetto, a prescindere dal fatto che Iachini è ancora troppo sottovalutato, senza parlare dell’astro nascente Davide Nicola. Anche uno come Montella o come Benitez sarebbe l’ideale, sebbene non abbia la fama da duro: maestri di calcio sì, ma con una particolare attenzione anche all’armonia della squadra. Perché gli occhi della tigre servono fino a un certo punto.