2013
Real Madrid, Maldini: «Special One? Ancelotti vincente perché normale»
Nella prefazione del 2009 dellex difensore per il tecnico riferimenti piuttosto attuali per Ancelotti.
REAL MADRID ANCELOTTI MALDINI – Una firma speciale per la prefazione della biografia di Carlo Ancelotti: Paolo Maldini, infatti, l’ha scritta per la biografia pubblicata nel 2009 da colui che oggi è il nuovo allenatore del Real Madrid, con il quale, ai tempi del Milan, l’ex difensore ha vinto due Coppe dei Campioni. Oggi il quotidiano iberico AS ha deciso di riproporre qualche stralcio della prefazione, che presenta una frecciatina a José Mourinho, guarda caso, che strano scherzo il destino, il predecessore di “Carletto”, ecco, invece, quella completa:
«Continuerò a dargli del tu, l’ho sempre fatto. Quando un calciatore smette di giocare diventa amico del proprio allenatore, si crea una certa confidenza, cadono le barriere. Io sono fortunato, mi sono portato avanti con il lavoro. Sono praticamente nato come compagno di squadra di Carletto, siamo da sempre una coppia di fatto.
Dicono che io sia stato una bandiera per il Milan, allora spesso il suo ruolo è stato quello del vento. Soffia che io riparto, con la mia maglia numero 3, cifra perfetta grazie a chi mi circonda. E mi indica la via. Nella gestione dello spogliatoio e delle riunioni Carletto è rimasto quello di una volta: un casinista senza eguali. Riesce a far battute anche prima di una finale di Champions League. Ci parla di bollito, alza il sopracciglio, e noi andiamo a vincere, perché siamo sereni. La gente immagina discorsi strappalacrime fatti alla squadra nei momenti decisivi e in effetti si, a volte le lacrime ci sono state, ma perché non riuscivamo a smettere dal ridere.
In certe occasioni, nello spogliatoio degli avversari abbiamo sentito il silenzio assoluto, mentre nel nostro c’erano Silvio Berlusconi e l’allenatore che raccontavano barzellette. Siamo una famiglia e in famiglia si fa così. Carletto non se la tira mai, tranne che a tavola, perché una volta che inizia a mangiare può fermarlo solo l’esorcista. Da quando è diventato allenatore si siede in un tavolo a parte, con un menù a parte, con una capacità di digestione a parte. Mangia, beve, rimangia e ribeve. Quando arriva qualcosa di buono saltano tutti gli schemi, anche il suo amatissimo Albero di Natale. Non ce la fa a tenere tutto quel ben di Dio per sé, allora inizia a chiamarci: “Paolo, vieni qui. Assaggia”. “Ma, Carlo, sono il capitano, devo dare l’esempio.” “E io sono il tuo allenatore: prendi qualcosina, è buono”. È altruista anche lì. Si vuol godere la vita e questo ci aiuta.
Fra tutte le gestioni dello spogliatoio che ho vissuto, la sua è stata in assoluto la più serena. Si tiene dentro preoccupazioni e pressioni, cosi la squadra resta tranquilla. E vince. E poi vince. E vince ancora. Anche se ogni tanto l’uomo più buono del mondo sbotta. L’ultima volta che è esploso per davvero è stata a Lugano, dopo un’amichevole precampionato persa contro una squadra di serie B svizzera. Sembrava pazzo. Ce ne ha dette di tutti i colori, ci ha insultati come animali. Cose pesantissime, irripetibili. Non si fermava più e a me veniva da ridere, perché gli era partita la brocca: non l’avevo mai visto cosi. Era tutto rosso e vicino a lui Adriano Galliani con la cravatta gialla: insieme assomigliavano all’arcobaleno. Dopo due giorni ci ha chiesto scusa, perché cattivo fino in fondo non lo sarà mai. È dolce dentro.
Il segreto delle nostre vittorie sta nella sua normalità: non serve essere Special One, Two o Three per trionfare, è sufficiente avere equilibrio e restare giù dal podio di chi fa i fuochi d’artificio davanti alle telecamere. Fra me e Carletto c’è sempre stato un rapporto di confidenza. Ci siamo sempre confrontati su tutto. In occasione delle sue esternazioni più dure, poi arrivava puntuale la domanda: “Paolo, ho sbagliato?”. Carlo non vuole mai fare tutto da solo, è un sintomo di grande intelligenza. Ecco perché può vincere ovunque: al Milan, al Chelsea, al Real Madrid o altrove.
La sua conoscenza del calcio è globale, enorme. Ha un’esperienza pazzesca a 360 gradi. Già da calciatore, in sé, era un grande organizzatore: di gioco e di idee. Non lo si può discutere né a livello umano né a livello tecnico: chi lo fa non è in buonafede. Al Milan dai tempi di Arrigo Sacchi in poi abbiamo avuto molti allenatori vincenti, ma ognuno gestiva il gruppo in maniera completamente diversa. Al di là dei risultati, delle metodologie, se dovessi scegliere la qualità di vita migliore di questi anni, opterei assolutamente per quella avuta con lui in panchina.
Prima di arrivare a Milanello era più rigido, meno aperto a determinati cambiamenti tattici, poi è cresciuto. Si è evoluto. E noi con lui, perché al fianco di un uomo cosi bisogna mettere dei giocatori che non se ne approfittino. Alla base di tutto c’è la fiducia reciproca. Negli anni, qualcuno che ha fatto il furbo c’è stato, ma gli abbiamo spiegato in fretta come ci si comporta. Più che altro, gli abbiamo fatto capire che Carletto va rispettato sempre e comunque. Per il bel calcio che sa esprimere. Per come parla alla sua squadra. Per come si comporta fuori dal campo. E per quello che c’è scritto in questo libro, dove si è raccontato senza segreti. L’hanno definito in molti modi. Per me, è semplicemente un amico. Un amico pacioccone. E per questo mi mancherà».