Sergio Gabetto, Superga e il Grande Torino: le sue parole
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Grande Torino, Sergio Gabetto: «Mio padre Guglielmo, il Barone e le viuex diable. Premi in cibo e poker con gli inglesi, era un altro calcio»

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Sergio Gabetto, figlio di Guglielmo, ha parlato al Corriere della Sera della strage di Superga e del Grande Torino

Figlio di Guglielmo Gabetto, uno degli uomini di punta degli Invincibili del Grande Torino, Sergio Gabetto ha pubblicato un libro dedicato al padre, «Se un angelo a Lisbona». In questi giorni di ricordi di Superga, la sua intervista al Corriere della Sera arricchisce la conoscenza di quella grande squadra.

IL LIBRO«Dopo essere stato per molto tempo lontano dal calcio e dal Toro ho pensato che fosse giusto dedicare del tempo alla memoria di mio padre, spinto anche da alcuni amici di infanzia. Sono stato a Cuba per tanto tempo, lì ho avuto due figlie, Carina e Jenny. Ho fatto il rappresentante di una cartiera e prima ancora l’insegnante di matematica. Alcuni anni fa sono tornato in Italia per stare vicino a mio fratello Gigi, mancato nel 2022. Dopo la sua scomparsa, dentro di me è scattata una molla: dovevo fare qualcosa per rendere onore alla mia famiglia. E ringrazio Silvia Ramasso, l’editrice di Neos, fin da subito ha creduto nel progetto».

DOVE VIVEVANO I GABETTO «In via Priocca, nei pressi di Porta Palazzo. Io sono nato lì. Mio padre andava tutti i giorni all’allenamento in tram. Era un calcio d’altri tempi, a mia madre è rimasto impresso per tutta la vita il momento in cui papà tornò a casa con un sacco di riso e un paio di prosciutti: fu il premio elargito ai giocatori del Toro dopo un’amichevole disputata a Vercelli».

IL LEGAME CON OSSOLA«Mio padre e Franco erano uno al fianco dell’altro in campo, nell’attacco del Grande Torino, ma anche nella vita. Franco fu mio padrino di battesimo. In molti sanno che insieme avevano aperto in via Roma il bar “Vittoria”, chiamato comunemente “da Gabos”. Spesso ci andava anche Fausto Coppi. Fu indimenticabile quando, dopo l’amichevole tra Italia e Inghilterra giocata a Torino e persa addirittura per 4-0 (nel 1948), azzurri e inglesi si ritrovarono al bar per compilare schedine e giocare a poker. Come dicevo, era un calcio d’altri tempi, immaginatevi se succedesse adesso una cosa del genere… Oggi ho un ottimo rapporto con Franco junior, mi ha aiutato per il libro».

IL SOPRANOME: «IL BARONE»«Perché usciva dal campo sempre con i capelli pettinati. Aveva una brillantina speciale di cui era molto orgoglioso. Altro soprannome è stato “le vieux diable”, il vecchio diavolo, perché era il più esperto della squadra e sapeva segnare in tutti i modi beffando i difensori avversari. Infine, Giovanni Arpino in una sua famosa poesia lo chiamò “cul pistin”, quel pistino».